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Per una Strategia di Digitalizzazione dell'Italia delle Costruzioni/2: l'Offerta di Servizi

La transizione digitale, che influenza profondamente le culture progettuali e le mentalità organizzative, si offre come instrumentum di politiche tese a «modernizzare» gli statuti professionali.

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Le riflessioni che si possono oggi proporre sul «BIM», in questo caso legate ai servizi professionali di architettura e di ingegneria, appaiono, in questo momento tanto articolate quanto controverse.

Probabilmente, anzitutto, occorre accettare le due dimensioni del «teologo» e del «vescovo», vale a dire di una speculazione «alta», fortemente critica sugli accadimenti, e di una operatività «bassa», enfatica sui risultati.
Per prima cosa, occorre ammettere che, riferendosi al Nostro Paese, ma non solo, l'acronimo BIM, a lungo ignorato, è sulla lingua e nelle orecchie della gran parte degli operatori.
Si tratta di una constatazione importante, poiché significa che i passaggi embrionali di scongelamento del tema sono avvenuti, come dimostra una offerta informativa e formativa ormai capillare, persino ipertrofica.

Certo, meno noti, almeno nei loro contenuti analitici, sono sia il DM 560/2017 sia le norme UNI della serie 11337.

Espressioni quali ambiente di condivisione dei dati, capitolato informativo, piano di gestione informativa, sono sicuramente meno conosciute (se non forse come CDE, EIR, BEP) di quanto non lo siano i nomi commerciali di alcuni applicativi.
Al contempo, però, una percezione del «BIM» come metodologia si sta diffondendo progressivamente.
Se, inoltre, con particolare, ma non esclusivo, riferimento agli organismi di progettazione, si potessero raccogliere le migliori presentazioni di casi negli eventi risalenti agli ultimi mesi, si potrebbe constatare che, nelle fasce alte del mercato, si sia raggiunto un livello qualitativo non banale.

Per prima cosa, però, si osserva come la metodologia, collaborativa, inizi a essere associata a processi aggregativi.
In altri termini, si comincia a constatare come la frammentazione degli operatori sia giunta a una soglia di insostenibilità riconosciuta, magari in parte già affrontata attraverso reti informali.
Naturalmente, tuttavia, occorrerebbe relazionare queste embrionali intenzioni a una riforma del diritto societario che supporti la riconfigurazione delle strutture professionali, che investe l'annosa diatriba tra società di persone e società di capitali.

È chiaro che per le rappresentanze si tratta di una ghiotta occasione per procedere, attraverso i paradigmi «collaborativi» abilitati dalla digitalizzazione, a una rivisitazione profonda dei mercati di servizi professionali.
Al contempo, come già osservato in altre occasioni, è la stessa natura della professione che la digitalizzazione potrebbe mettere in questione, nella direzione di una certa «imprenditività».
In altre parole, la transizione digitale, che influenza, o potrebbe farlo, profondamente le culture progettuali e le mentalità organizzative, si offre come instrumentum di politiche tese a «modernizzare» gli statuti professionali.

Ed ecco che, nel mercato dei servizi di architettura e di ingegneria, si profila una compresenza, addirittura una coesistenza, tra velocità di maturazione differenziali, probabilmente destinate a durare molto a lungo tra:

i) la pancia profonda del micro e del piccolo professionalismo, fortemente localistico, la cui digitalizzazione appare fortemente limitata, parziale e, comunque, legata alla generalizzazione dell'obbligo nei contratti pubblici, prevista attualmente per il 2025, e alla diffusione della modellazione informativa per il rilascio dei titoli abilitativi nell'edilizia privata;

ii) gli studi e le società che, a seguito di specifiche richieste provenienti dai mercati nazionali e internazionali alti di gamma, si sono ormai attrezzati per erogare prestazioni codificate in materia di BIM Management e di BIM Coordination;

iii) le organizzazioni che iniziano a gestire digitalmente economie di conoscenza inerenti al proprio pregresso e che si apprestano a ricorrere alla Data Science.

Quali le sfide ipotizzabili per ciascuna di queste fasce di mercato?

Per i micro e per i piccoli soggetti sarebbe fondamentale una operazione sistematica di acculturamento e di alfabetizzazione, di iniziativa governativa, condotta di concerto colle rappresentanze professionali.
Essa potrebbe manifestarsi, esattamente come sta accadendo in Francia, tramite una piattaforma di supporto che metta a disposizione strumenti adeguati alle caratteristiche delle transazioni in oggetto.

Ovviamente, una simile iniziativa potrebbe assumere vesti privatistiche: è palese che l'obiettivo è quello, nel rispetto della tutela della riservatezza e della proprietà intellettuale, di aggregare in maniera strutturata grandi moli di dati computazionali al fine di effettuare attività di Design Automation e di Business Intelligence.
Ciò che si promette a questi operatori è di agire all'interno dell'eco-sistema computazionale e, in cambio, di rendersi «tracciabili» computazionalmente.

Per quanto concerne le strutture più attrezzate, esse hanno oggi l'esigenza di muoversi più efficacemente all'interno degli ambienti di condivisione dei dati, garantendo una continuità dei flussi informativi e una migliore integrazione tra fasi ideative, fasi realizzative e fasi gestionali.
La sfida consiste nel generare valore progettuale evitando le cesure tra le fasi del processo, incrementando i livelli prestazionali dei cespiti e riducendone i relativi oneri nel corso della loro vita utile.

Per quanto riguarda, infine, gli operatori più avanzati, essi sono chiamati a ridefinire la natura dei prodotti immobiliari e infrastrutturali nonché eventualmente l'identità degli attori professionali.
Per questa nuova generazione di competitori non è più fatto di erogare più produttivamente servizi tradizionali né di offrire prestazioni integrate, ma di collocarsi nel nuovo territorio, contendibile da una molteplicità di soggetti, outsider, oltre che insider, dei Living Service.

Le categorie appena descritte sono assolutamente distanti tra di loro, così come probabilmente lo sono i rispettivi mercati di riferimento, ma è possibile avanzare qualche ragionamento sui due piani argomentativi in questione:

i) le attività di configurazione di contenuti informativi originali, che dal Computatonal Design si dislocheranno progressivamente verso l'Artificial Intelligence; 

ii) le attività ordinarie di produzione di dati, il cui valore aggiunto consiste prevalentemente nel disporre di una intelligenza in tempo reale della evoluzione dei micro e dei piccoli mercati professionali: e imprenditoriali.

Ecco che allora, ai decisori politici ed economici, così come alle rappresentanze, si potrebbero prosperare diverse linee di operatività:

i) supportare la digitalizzazione di servizi, non solo di progettazione, ma anche di permessualistica, di controllo, e così via, la cui normalizzazione, grazie alla potenza computazionale del dato originato da fonti eterogenee che va ad alimentare algoritmi, potrebbe giungere sino a una parziale automazione, colla conseguente scomparsa, anche per via del ricambio generazionale, di attori e di prestazioni a «scarso valore aggiunto», perché appunto ripetitive e riproducibili. Sarebbe un fenomeno coerente coi processi, ipotizzati, di aggregazione dimensionale;

ii) favorire il rafforzamento di quelle realtà professionali in grado di competere meglio su mercati evoluti capaci di «apprezzare» servizi integrati ad alto valore aggiunto, nell'ottica del ciclo di vita del cespite immobiliare o infrastrutturale;

iii) promuovere la diffusione di organismi di nuova identità che agiscano sul ciclo delle vite degli utenti attraverso la Cognitività.

Serve, dunque, una visione di lungo termine e una volontà di indirizzo e di orientamento di mercati professionali ancora molto «analogici», poco collaborativi, scarsamente integrati, enormemente parcellizzati.
Certo, se si interroga oggi la pancia profonda dei mercati professionali, nessuna delle opzioni immaginate appare prossima né auspicabile.

Al di là delle lodevoli intenzioni delle rappresentanze, il sentiment degli operatori medi è perplesso e refrattario, magari disponibile a riconoscere l'inevitabilità di un cambiamento che, purtuttavia, non si auspica né si comprende completamente.
Le parole «BIM» e «decreto» sono coniugate con «fuga in avanti», «vessazione di operatori in difficoltà intrinseca».

Il rischio, comunque, è quello di banalizzare i fenomeni epocali, semplificandoli...