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Considerazioni sulla progettazione dei ponti: estetica e tecnologia di strutture artistiche

Considerazioni sulla progettazione dei ponti

Si può ben affermare come il progetto di un ponte costituisca da sempre una operazione ideologica nell’ambito della progettazione, per il momento usiamo un termine molto largo, delle opere di architettura. Non sembri strano, per non dire errato, pensare ad un ponte come ad un “equivalente” di un edificio pur mancando la definizione spaziale che caratterizza una architettura. Eppure, possiamo ben dire, al contrario, che proprio un ponte realizza quella saldatura, se vogliamo ancora tenere in vita questa ormai moribonda dicotomiatra arte e tecnica, o più calzante su quanto riflettiamo in questo articolo, tra ingegneria e architettura.

Un ponte costituisce, obiettivamente, un cimento progettuale per pochi capaci di avere quell’elevato controllo progettuale che un’opera di questo tenore richiede e che non ammette alcuna possibilità di errore o deviazione concettuale dovendosi perfettamente sintetizzare espressione formale, sicurezza ed equilibrio strutturale in un unico output. In più, la prestazione esattamente prioritaria come le precedenti, della cura dell’inserimento nell’ambiente, costruito o in spazi naturali di elevatissima qualità, rende ancora più selettiva la schiera dei progettisti iscritti al club degli “eletti”.

Estetica e bellezza di un ponte

In virtù di quanto prima esposto, quindi, il progetto di un ponte deve esprimere sicuramente estetica ma soprattutto irrinunciabile bellezza nel senso più stretto che possiamo assegnare al termine. Tale necessità, esprimendo con forza la qualità prima richiamata che va oltre le prestazioni, deve impattare, anche modificandolo radicalmente, l’ambiente dove esso viene inserito realizzandone uno completamente nuovo in cui il ponte diventa esso stesso “elemento naturale”. E allora, è bene precisare come la invocata estetica e bellezza di un ponte passi imprescindibilmente attraverso una raffinatezza di calcolo numerico intersecantesi con la espressione compositiva in una procedura biunivoca che assecondi, nella sintesi, gli aspetti naturali invocati.

Il concetto lo esprime con grande precisione Le Corbusier quando scrive in Verso una architettura, del 1973, “…L’Ingegnere, ispirato dalla legge dell’Economia e guidato dal calcolo, ci mette in comunicazione con le leggi dell’universo. Raggiunge l’armonia…”, ma notevole in tal senso anche il pensiero di Pierluigi Nicolin: “…E’ sulle risposte riguardanti la distruzione dell’antico corpus dell’architettura che dovremmo confrontare le varie esperienze, nella consapevolezza che, pur cercando di superare il vecchio dualismo architettura-ingegneria, dovremo cercare percorsi adeguati alle nuove circostanze. Le opzioni riguardanti la interpretazione anatomica del corpo architettonico, iniziate con Galileo, si presentano all’inizio del modernismo articolate in due atteggiamenti distinti. Possiamo individuare nella figura dello stesso Freyssinet il rappresentante del punto di vista orientato a far coincidere la forma con la struttura. Le scoperte del principio della resistenza per forma e delle tecniche del calcestruzzo precompresso permettono a Freyssinet di concepire la costruzione come qualcosa di unitario, come successivamente avverrà nell’industria automobilistica con la introduzione della carrozzeria autoportante…” [Nicolin, 1995].

Tali posizioni chiariscono in maniera decisiva quanto artistica possa e debba essere la procedura di calcolo della struttura di un ponte pensando come ogni materiale possieda una personalità specifica e distinta caratterizzata da uno stato tensionale frutto di un processo creativo basato sul giusto mix di arte e tecnica generatore di una tecnologia creativa scevra da logica.

Importante il pensiero di Mario Salvadori che condivide con Eduardo Torroja la convinzione che nella progettazione delle strutture è possibile una felice riduzione dei fenomeni tensionali in forme elementari relativamente alle forze e alla resistenza dei materiali. “…E’ stato solo con l’avvento di materiali dotati di buona resistenza a flessione che si sono potute realizzare strutture più audaci. Gli archi romani a tutto sesto arrivavano a luci di circa 30 metri, ed i ponti in pietra medioevali a circa 60 metri. Il ponte di Kill van Kull negli Stati Uniti, con i suoi 500 metri di luce, è il più grande ponte in acciaio ad arco unico oggi esistente al mondo. La più grande campata ad arco unico in calcestruzzo finora realizzata è quella del ponte di Sando in Svezia, con 264 metri di luce. Luci fino a 600 metri, come quella del ponte di Quebec sono state raggiunte con combinazioni di archi e semi-archi a sbalzo collegati da travate. Ancora oggi l’arco è l’elemento strutturale più comunemente impiegato per la copertura di grandi luci…” [Salvadori, 1963]. Con il calcestruzzo armato l’arco, specialmente nella costruzione di ponti, ha assunto un notevole rilievo consentendo di superare grandi luci col sostenere l’impalcato al di sopra della chiave mediante una serie di snelli pilastri. Cosa diversa riveste la progettazione dei ponti sospesi che, per il loro ridotto peso proprio, consentono la copertura di grandi luci: “…. Il problema delle grandi luci ha sempre affascinato tanto gli specialisti quanto quelli che non lo sono. Costruire un ponte di una luce superiore alla maggiore precedentemente realizzata non solo richiede grandi conoscenze tecniche e capacità, ma anche intuizione e audacia creativa, che significa trionfo sulle forze della natura e progresso nella battaglia contro l’insufficienza umana...”. Tale riflessione di Fritz Stüssi testimonia l’impegno che si sono assunti nella storia gli ingegneri per la progettazione di ponti con luci sempre più spinte e contro ogni limite logico [Torroja, 1960].

Ponte di Sando in Svezia (Eduardo Torroja)

Ponte di Sando in Svezia (Eduardo Torroja)

 Ponte Alamillo a Siviglia (Santiago Calatrava)

Ponte Alamillo a Siviglia (Santiago Calatrava) 

 Ponte Ondarroa (Santiago Calatrava). Particolare costruttivo.

Ponte Ondarroa (Santiago Calatrava). Particolare costruttivo.

Dal punto di vista tecnologico molte conquiste sono state rese concrete dalla precompressione ed in particolare dalla post-tensione effettuando la tesatura delle armature dopo il getto e la maturazione del calcestruzzo. Il più grande progettista di ponti utilizzando tale tecnica è stato Riccardo Morandi che ha unito in maniera mirabile la costruzione di tali infrastrutture secondo una composizione formale e paesaggistica di elevato valore. Come lui stesso scrive in vari articoli, essendo assillato “…dal dover inventare una inusitata applicazione del calcestruzzo, cioè un ponte con grandissime luci (almeno per allora), per cui non era conveniente ricorrere a strutture spingenti e non era conveniente nemmeno usare strutture metalliche data l’eccezionale aggressività dell’atmosfera, è nata la prima idea della struttura strallata omogeneizzata in calcestruzzo…”. Proprio la tecnica della omogeneizzazione ha consentito a Morandi di progettare ponti che hanno consentito di superare luci sempre più ardite parallelamente alla sperimentazione sia dei modelli di calcolo che di progettazione.

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