Rinforzi Strutturali
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Le strutture esistenti e i metodi per il rinforzo di tipo MAD: alcune osservazioni sulla Circolare

Alcuni commenti sulla Circolare NTC 2018 relativa ai sistemi di rinforzo con metodo MAD

Il testo unico delle costruzioni 2018, seguendo il tracciato della precedente versione del 2008, dedica il capitolo 8 ad illustrare i criteri guida per gli interventi di manutenzione straordinaria con valenza strutturale. L’esigenza del legislatore si avverte chiaramente nello svolgimento del testo: si vuole indirizzare il progettista ed il committente ad aumentare il livello di conoscenza sull’elemento e/o il fabbricato su cui si interviene e ad eseguire interventi che possano aumentare il livello di sicurezza. 

Per “livello di sicurezza” il Testo Unico intende il miglioramento del rapporto tra capacità e domanda: nel caso di interventi su strutture diverse dalla classe d’uso IV tale rapporto è riferito alle sole condizioni di Stato Limite Ultimo SLU, invece, per le costruzioni di classe d’uso IV si aggiungono ai requisiti di SLU anche requisiti agli Stati Limite di Esercizio.

Come nella Circolare del 2009 anche per la Circolare 2019 sono stati individuati diversi metodi per realizzare interventi sulle strutture esistenti. Nella sostanza ci si riferisce a due principali casistiche:

  • Metodi Aderenti MAD: dove cioè il rinforzo da applicare sulla struttura veniva intimamente adeso al supporto
  • Metodi Non Aderenti MNA: dove cioè il rinforzo non risultava adeso ma, in un qualche modo, contribuiva al rafforzamento dell’elemento 

Evidentemente il testo normativo non ha chiarito alcuni aspetti che, però, sono fondamentali per la buona e duratura riuscita di un intervento di riparazione e rinforzo: questi aspetti sono essenzialmente legati a:

  • Stato e preparazione del supporto
  • Delaminazioni / scorrimenti
  • Limiti deformativi

La mancata definizione di limiti legati alle suddette situazioni produce situazioni dove il progetto rischia di sopravvalutare la reale prestazione dell’intervento, oppure dove la durata reale dell’intervento si riduce a pochi anni per poi dover procedere ad un nuovo intervento di ripristino per il “restauro del restauro”. 

In questa breve memoria ci si focalizza sui predetti aspetti con riferimento ai metodi MAD e, mediante dati sperimentali, si forniscono riprove.

Sullo stato e preparazione del supporto per i metodi MAD

Con riferimento ai metodi MAD il testo normativo parte dal presupposto che il supporto esistente sia sano e sufficientemente preparato per ricevere “IN PERFETTA ADERENZA” il sistema di rinforzo.

Si crede comunemente che il ripristino del copriferro di elementi in calcestruzzo armato non richieda particolari precauzioni per garantire la perfetta aderenza, in realtà esistono studi sperimentali che dimostrano l’esatto contrario, vedi ad esempio [1] e [2]. Il supporto murario o quello in calcestruzzo, a seconda della loro resistenza e del metodo di preparazione del supporto, possono portare ad una sopravvalutazione delle reali prestazioni dell’intervento.

Impiegare malte a ritiro compensato su supporti poco ruvidi, ad esempio, conduce sicuramente al distacco del copriferro ricostruito, stesse considerazioni per interventi dove il supporto vibra (es. solette da ponte). 

A causa dei fenomeni di degrado delle armature metalliche, inoltre, la preparazione del supporto di calcestruzzo dovrebbe essere approfondita ed estesa a tutte le zone interessate da potenziali elettrici negativi, spesso però ci si riduce a risanare solo la zona con evidente ruggine per poi scoprire dopo pochi anni che nuova ruggine è apparsa a fianco di quella risanata provocando il distacco del copriferro anche nella zona da poco risanata.

Per cercare di conservare l’aderenza al supporto si impiegano spesso perni di collegamento, ma il dimensionamento di questi elementi è lasciato al libero arbitrio sicchè può capitare di osservare una maglia fittissima di perni oppure una completamente rada. Nei lavori [1] e [2] gli Autori hanno dimostrato che la prestazione teorica della “trave compatta e sana” non si ripristina perfettamente anche con l’impiego di perniature, questi elementi, infatti, sono rigidi e tendono a concentrare all’intorno tensioni tangenziali all’interfaccia con picchi tali da produrre locali delaminazioni, ne consegue un comportamento inferiore alle attese.

Delaminazioni e scorrimenti per i metodi MAD

Le tecniche MAD si sono arricchite nel corso degli anni di svariati sistemi: si va dal ringrosso con betoncini a ritiro compensato ed armatura di vario tipo (acciaio, inox, FRP), al placcaggio di lamiere metalliche (steel plate bonding), all’incollaggio di tessuti fibrosi (FRP), al ringrosso con betoncini fibrorinforzati di tipo duttile [3] (HPFRC) oppure all’impiego di intonaci con reti di vario tipo inserite all’interno (FRCM), tutti i sistemi partono dal presupposto di funzionare per “aderenza” ma il loro reale funzionamento è radicalmente differente.

Nel caso dei placcaggi in acciaio (cioè lamiere solo incollate) diverse esperienze hanno dimostrato come sia quanto mai fragile il meccanismo di crisi e quasi sempre prevalente la delaminazione di estremità rispetto a quella per trazione, vedi [6], eppure questa tecnica è contenuta nei software di calcolo, la si utilizza in aggiunta all’armatura interna guardando semplicemente alla tensione di calcolo fyd. Per questo sistema, in realtà, non è mai stata pubblicata una norma di calcolo di livello internazionale. 

Più recentemente, con l’avvento dei materiali compositi fibrosi a matrice polimerica, il CNR si è posto il problema della delaminazione e con la raccomandazione CNR DT 200 – 2013 [4], si è introdotto (per i prodotti costituiti da fili di carbonio, vetro o aramide immersi in resina più comunemente chiamati FRP) un concetto basilare: “le performance del sistema di rinforzo FRP non sono solo legate alle proprietà meccaniche dei materiali di rinforzo, ma sono anche vincolate dalle caratteristiche del supporto”.

Gli FRP, in effetti, sono perfettamente inquadrabili nella famiglia MAD in quanto la resina (matrice) di impregnazione delle fibre è anche “adesa” al supporto. Ebbene, si è sperimentalmente osservato che la delaminazione del rinforzo FRP dal supporto, vedi [5] e [6] è tanto più probabile rispetto alla rottura del materiale di rinforzo quanto più area resistente viene incollata al supporto. Senza tener conto di ciò si rischia di dimensionare non correttamente l’intervento perché ci si concentra nella sezione dove il momento flettente e/o il taglio sono più elevati, ma la quando in realtà la delaminazione avviene in una zona completamente differente da queste.

Purtroppo la spinta al calcolo automatico, seppur doverosa per la precisione del risultato, si rivela critica in questo settore. Seguendo l’approccio normativo i programmi di calcolo sono molto precisi nel definire le combinazioni di carico, ciò crea una quantità gigantesca di combinazioni, con il rischio di perdere la definizione locale perché, per snellire la modellazione, la trave ad esempio viene suddivisa in 3-4 blocchi e per ciascuno si verificano solo le solite classiche situazioni:

  • Deformazione massima nel calcestruzzo compresso
  • Deformazione massima nell’acciaio teso
  • Deformazione massima nell’FRP

In un recente lavoro [5] gli Autori hanno dimostrato che l’aderenza di un riporto di calcestruzzo con all’interno barre aventi elevata resistenza a trazione non può dirsi permanente qualunque sia il livello deformativo presente sulla struttura: esiste un limite superato il quale l’armatura interna scorre o il riporto delamina dal supporto. Per questo genere di sistema di rinforzo non esiste, al momento, una raccomandazione di calcolo specifica, sebbene per le costruzioni in calcestruzzo con armatura non metallica sia noto il legame di aderenza e la maggiore apertura di fessura [7].

Per contrastare il fenomeno dello scorrimento malta-barra si può ricorrere alle malte fibrorinforzate duttili HPFRC come evidenziato in [8] e [9]

Il metodo FRCM, invece, oltre alle problematiche che saranno illustrate nel capitolo successivo, non ha al momento normativa di calcolo, anzi spesso viene confuso e calcato come tecnica FRP sebbene l’aderenza fibra-malta sia completamente differente (diciamo meglio: PEGGIORE) dall’aderenza fibra-resina [10]. Tale modo di procedere introduce un ulteriore motivo di sopravvalutazione delle reali capacità del sistema.

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