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La questione 18i e il chissenefrega del dramma dell’economia nazionale

Un editoriale infuocato di Andrea Dari

Telegiornale sul primo, sul secondo, sul terzo … il salotto della Gruber, la puntata di “Martedì”, tutti concentrati sul caso della Umberto Diciotti (18i), della piattaforma Rousseau, di cosa pensi Giggino Di Maio, di cosa dica Grillo nel suo spettacolo, di cosa pensi del caso il rappresentante dell’opposizione … così passa in secondo piano la notizia più importante, quella che davvero potrà cambiare il futuro prossimo delle nostre aziende, delle nostre famiglie: il fatturato dell'industria italiana, a dicembre 2018, diminuisce del 3,5% rispetto a novembre, subendo il ribasso più forte sul mercato estero.

Lo rileva l'Istat, che su base annua segna una caduta del 7,3% (dato corretto per gli effetti di calendario). Si tratta della flessione tendenziale più accentuata dal novembre del 2009.

Italia: Recessione tecnica reale

Attenzione, a novembre non è che fosse stata festa: la produzione industriale era calata, sempre secondo i dati dell’Istat dell’1,6%.
Se guardiamo i dati dell’Istat è praticamente dal dicembre 2017 che l’Industria perde colpi (a riprova che il problema non nasce a giugno).
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FIGURA 1 ISTAT. FATTURATO DELL’INDUSTRIA, INDICI DESTAGIONALIZZATI E MEDIE MOBILI A TRE MESI
E ad andare peggio sono i dati sugli ordinativi, il che fa pensare che il problema non sia in fase di risoluzione, ma alquanto più grave
 
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FIGURA 3 ISTAT. ORDINATIVI DELL’INDUSTRIA, VARIAZIONI PERCENTUALI TENDENZIALI
Chi va male fra tutti i settori industriali ? tutti, perchè tutti sono in negativo. Certo, c’è chi va peggio, vedi il settore dei trasporti, e chi va meglio, il settore dei tessuti, ma tutti sono con un segno meno davanti al valore economico registrato.
 
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FIGURA 4 ISTAT. FATTURATO TOTALE, GRADUATORIA DEI SETTORI DI ATTIVITA’ ECONOMICA SECONDO LE VARIAZIONI TENDENZIALI
Da qualche settimana i dati economici del PIL ci hanno evidenziato che siamo in recessione tecnica, attenzione i dati, non i proclami, e i dati sono, come diceva il mio amico Brignone, testardi, difficili da smentire. 
 
Nel quarto trimestre 2018, il Pil italiano ha segnato la seconda variazione congiunturale negativa consecutiva, determinata da una nuova flessione della domanda interna. Interna! Perché è vero, negli ultimissimi mesi il commercio mondiale ha rallentato, e questo non ha colpito solo l’Italia, ma anche altri Paesi. Ma noi crolliamo. In Europa, nella previsione sul PIL 2019 siamo ultimi, distanti in modo abissale dal penultimo.
 
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2 ISTAT. COMMERCIO MONDIALE (indici 2015=100, dati in volume destagionalizzati)

Lo Spread viaggia intorno ai 270

Quindi paghiamo mediamente il 2,7% in più di interesse sul debito pubblico che rinnoviamo rispetto alla Germania.
Due giorni fa l'agenzia Fitch ha confermato il rating BBB dell’Italia ma ha rivisto al ribasso l’outlook da “stabile” a “negativo”. La revisione dell’outlook comporta una valutazione di medio periodo, nell’arco di uno o due anni, che tuttavia non esclude una modifica del rating anche prima nel caso di eventi che impattano in modo rilevante sul giudizio di un emittente. Fitch Ratings non è un organo di partito, è un'agenzia internazionale di rating, fondata nel 1913 a New York da John Knowles Fitch, si occupa di soldi. Pochi giorni prima, per San Valentino, Moody's aveva rivisto al ribasso le stime di crescita dell’Italia, a causa dell'incertezza politica, la società americana ha tagliato la stima sul PIL del 2019 in un range dello 0-0,5%. Ma anche la Commissione Ue aveva confermato per l'Italia il Pil allo 0,2% per il 2019.
 
Infine ricordiamo che attualmente il debito pubblico italiano supera ampiamente 2.300 miliardi di euro (130% del PIL), su cui paghiamo oltre 65 miliardi di interessi. In Europa solo la Grecia ha un livello peggiore (180%).
 
Sono tutti numeri preoccupanti, che incidono sul nostro futuro, sull’occupazione, sulla capacità delle nostre famiglie di avere reddito (non di cittadinanza), per il nostro Paese di erogare servizi. Ricordiamoci che pende sulle nostre teste la spada di damocle dell’aumento IVA, che riusciremmo ad evitare con un miracolo solo se il PIL cresce dell’1,1%. Un aumento del 2% dell’IVA cade direttamente sulla testa dei cittadini, che sono il soggetto che deve pagarla.
 
Ricordo il novembre 2009, quando le autostrade erano vuote, non perchè si stesse costruendo la TAV sulla tratta Torino Lione, ma perchè era scoppiata la più grande crisi economica del dopoguerra. Ricordo le notti passate sul divano, i dipendenti lasciati a casa, i conti non pagati, la polvere accumulata sotto il tappeto, l’incertezza per il futuro. 
Mi spiace quindi per il bieco materialismo che anima questo mio articolo, ma in questo momento è la pancia che ha il sopravvento, e mi aspetterei che fossero queste questioni ad attrarre l’interesse del Paese.

I Cantieri sono fermi, le grandi imprese saltano

Non c’è solo la TAV Lione Torino, ad essere bloccata (che ricordiamo fa parte di un progetto europeo, un corridoio che va da Lisbona e Kiev, avviata sulla base di una serie di analisi costi benefici internazionali che non si sono occupati solo di una piccola tratta, un corridoio che serve anche allo sviluppo internazionale del porto di Trieste, che altrimenti resterebbe fuori da ogni circuito ferroviario ad alta velocità, che va a sostituire una linea di oltre 100 anni che oggi non consente il trasporto merci …) ma sono tanti altri i cantieri fermi per la cosiddetta Analisi Costi Benefici del MIT: la bretella Sassuolo Campogalliano, per esempio, al centro di un distretto industriale di eccezionale importanza per l’economia italiana, la Pedemontana lombarda e la Pedemontana Veneta, in alcuni dei territori industriali a più alto valore aggiunto, la TAV Brescia Padova, il Tunnel del Brennero …
 
E nel frattempo le principali imprese di costruzione italiane chiudono o rischiano di chiudere: Astaldi, Condotte, CMC, Grandi Lavori Fincosit, Tecnis, Mantovani, Trevi  … non sono solo i loro dipendenti a rischio disoccupazione, non sono solo i loro conti a rischio, ma anche tutte le aziende che in questo momento sono coinvolte nei loro appalti, che attendono di essere pagate. Una ecatacombe per il settore delle costruzioni con effetti terribili per l’occupazione e l’economia del Paese.
 
Non rifugiamoci nella demagogia, non rintaniamoci nelle posizioni politiche. Sia di fronte a un baratro che rischia di toccare ognunoi di noi. In ogni nostra famiglia c'è un ingegnere, o un architetto, o un geometra, o un elettricista, o un piastrellista, o un carpentiere, o un muratore, o un impiegato in una impresa del comparto edile, o un idraulico, o un falegname, o un rivenditore di mobili, o un imbianchino. Guardate il perimetro della vostra famiglia e vedrete che c'è qualcuno che opera nel comparto edile. Questi saranno i primi ad essere toccati da una nuova crisi che avanza.

Ma tutti parlano della Diciotti.

E’ così. La prima pagina della Repubblica di oggi mette in primo piano la 18i. Il dato Istat sull’industria non è citato. Del crollo dell’Industria si parla a pagina 29. Sui siti di Corriere della Sera, Repubblica e Sole 24 Ore non sono riuscito neppure a trovare la notizia (devo cambiare occhiali ???).
 
La sensazione è che il mondo dei Media, fatto di televisioni, giornali e oggi anche di algoritmi ancora una volta voglia portare l’attenzione su un fatto singolo  - umanamente importante, politicamente importante, culturalmente importante - per non fare riflettere le persone, il popolo, su quello che sta avvenendo, sui veri pericoli che stiamo correndo.
 
Sinceramente, a me della Rousseau e di cosa dica Grillo in teatro non me ne frega nulla, del mio futuro, di quello della mia famiglia, dei miei dipendenti e collaboratori sì. Svegliamoci.