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Modernità e Contemporaneità dei Sistemi Costruttivi

Una riflessione del prof. Angelo Ciribini sul rapporto industrializzazione edilizia e digitalizzazione

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La fortuna di cui, nelle strategie di alcuni governi e nella pubblicistica internazionale, godono i «moderni metodi di costruzione», che si sarebbero un tempo definiti come prefabbricazione, meriterebbe in sé una riflessione, come, peraltro, più volte è stato fatto in queste righe.
 
L'industrializzazione edilizia inizia, peraltro, a essere richiesta anche nei concorsi di progettazione, come è accaduto per l'edificio dello Human Technopole a Milano.
Il tema più interessante risiede, tuttavia, nel décalage che si è creato tra il ritorno di popolarità della industrializzazione edilizia e il sorgere di argomenti inediti come quelli legati allo spazio come «servizio» e come «esperienza».

Industrializzazione edilizia e digitalizzazione, nuove versioni di vecchi approcci

Si osservi, intanto, che le vie attraverso cui l'industrializzazione passa sono, ovviamente quelle digitali, dato che esse abiliterebbero nuove versioni di vecchi approcci, ma la fonte di legittimazione principale risiede nel contributo che i sistemi costruttivi industrializzati fornirebbero alle politiche ambientali e circolari.
 
Sulla scorta delle suggestioni fornire dalla Quarta Rivoluzione Industriale, la manifattura è, infatti, ridivenuta improvvisamente per molti esponenti del settore il fulcro delle policy: in definitiva, i processi produttivi manifatturieri sono apparsi nuovamente come il paradigma da seguire, dopo una lunga fase di rigetto e di relativo oblìo, almeno per comparti come quello dell'edilizia residenziale.
 
Senza citare ed enunciare per l'ennesima volta la teoria di innumerevoli benefici che i moderni metodi apporterebbero - declinati in soluzioni più o meno radicali nelle sette opzioni del governo britannico - giovi qui osservare come ciò che risalta è la natura di «prodotto» che è costantemente sottolineata: diversificato, economico, tempestivo, qualitativo, funzionale, flessibile (?), efficiente, circolare, sostenibile.
 
Il bene immobiliare vale, dunque, in quanto «industrializzato», vale a dire frutto della cultura manifatturiera ormai esaltata(si) col «4.0».

Prefabbricazione di un manufatto o di uno stile di vita?

Se, però, la fascinazione industriale rientra prepotentemente in campo, dalle semplici versioni di produzione del modulo abitativo in una fabbrica tradizionale razionalizzata a quelle complesse del luogo produttivo avanzato, automatizzato e robotizzato, non pare che ciò avvenga per il tramite delle componenti più «immateriali» dell'Industrial Internet of Things: è, in effetti, il cespite fisico, sia pure eventualmente corredato di tutta la Smartness possibile, a prevalere nettamente.
 
È a questo punto che viene meno, almeno in apparenza, il nesso diretto cogli aspetti «intangibili» propri della servitizzazione del bene, cioè, relativamente agli sforzi in atto per valorizzare il contributo che l'edificio può offrire nell'interazione diretta cogli occupanti che si nutre, peraltro, non solo di interconnessione, ma anche di percezione: da cui le nozioni dello spazio come generatore di «esperienze» individuali e collettive.
 
Il punto è che la costruzione, parziale o totale, fuori opera (con una netta preferenza per i procedimenti a secco) potrebbe certamente con successo, in misura non prevedibile, sostituire la realizzazione in opera, ma, se si nota bene, anche in occasione del concorso internazionale precedentemente citato (che prevede una destinazione d'uso non residenziale), la sottolineatura di evoluzionalità e di versatilità non chiama in causa tanto una pretesa rigidità dei sistemi industrializzati quanto mette in evidenza che evolutivo e versatile sono oggi attributi della persona o della comunità, dei suoi comportamenti, dei suoi stili di vita.
 
Il che accade proprio perché la maturità biologica e anagrafica delle persone certamente conta, ma, se si guarda ai testi contenuti nei documenti di indirizzo preliminare e negli altri documenti programmatici delle committenze, l'accento è posto sulla «imprevedibilità».
In altre parole, tutto diviene flessibile nella misura in cui non è prevedibile, o almeno non lo è sulla base individuale.
 
Per questa ragione, le Data Analytics originate dall'uso dei Social Media cercano di profilare la persona meglio di quanto essa stessa non si conosca: e l'edificio che apprende, che impara, sotto questo punto di vista, è il nuovo Social Medium.
 
È comprensibile, dunque, che il costruttore desideri farsi prefabbricatore, avvalendosi di tutte le potenzialità computazionali che gli algoritmi generativi, combinatoriali, consentono, ma la partita che si gioca nello spazio come intermediario tra i componenti edilizi, strutturali, impiantistici dell'edificio e i comportamenti dell'utente è molto sottile.
Tanto che dovremmo chiederci, alla luce dello sviluppo delle simulazioni, che cosa veramente si «pre-fabbrichi»: un manufatto o uno stile di vita?
 
Tale fenomeno si verifica, peraltro, in un indebolimento progressivo del valore della detenzione dell'immobile e della stanzialità del cittadino: in altre parole, nella sua «immobilità».
Si tratta senza dubbio di processi lenti e contraddittorî, ma, infine, essi stressano una connotazione forse troppo poco contemporanea della «modernità» dei metodi costruttivi.
 
Il traslare la dimensione «industriale» dell'edilizia alla scala del distretto e della città, come cercano di fare Arup o il WDBE, che parla di «esperienza urbana dell'utenza», ma anche ReBuild, appare coerente con la constatazione che probabilmente anche Facebook e Uber, nel momento in cui aderiscono alla Urban Computing Foundation, riconoscono ulteriormente che negli spazi confinati e, soprattutto, negli spazi aperti si trovano i nuovi Business Model.
 
E, tra l'altro, lo fanno contendendo una concezione di «spazio pubblico» sempre più accessibile e condizionabile dal «privato».
 
Non che la scala urbana non fosse al centro di una antica prefabbricazione spacciata frettolosamente per industrializzazione, anzi, come testimoniano i Grand Ensemble e le New Town, ma, alla fine, di là di tutti i «-co», probabilmente la sfida del mercato si dipana lungo una nuova concezione di «società digitale».
 
Se aggiungiamo che la industrializzazione sembra avviarsi con l'affordable housing, da lì alla social innvation nella smart city il passo è molto breve.

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