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Ha ancora senso chiamarci ingegneri ? ha ancora senso iscriverci a un albo ?

I Consigli Nazionali devono fare scelte coerenti per il futuro delle Professioni, ma quali Professioni vogliamo per il futuro ?

Qualche giorno fa ho scritto un articolo dedicato alla progressiva deligittimazione della figura del professionista tecnico.

Uno dei temi toccati è stato quello della specializzazione dei professionisti, o meglio della necessità o meno di andare nella direzione di una ulteriore suddivisione degli albi, attraverso un cammino che in una prima fase possa prevedere una certificazione volontaria della competenze, oppure prendere una direzione di fatto opposta, che traspare dalle ultime scelte della Rete delle Professioni in cui vi sia una "contaminazione" fra diverse professioni, ovvero tra Ingegneri, Architetti, Geometri e Geologi.

Le scelte fatte sul tema dei servizi di emergenza per la protezione civile va, di fatto in questa seconda direzione, mentre le scelte compiute sul tema della diagnostica vano nella prima direzione.

Certo è che non possiamo rimanere in un limbo schiacciato tra l'andare a volte nella prima e altre nella seconda direzione. 

La drammatica situazione che vede i professionisti oberati da norme spesso poco coerenti sul piano fiscale e professionale e dall'altro un mercarto delle costruzioni asfittico richiedono una visione degli obiettivi e una strategia coerente più forte di quello che è stato fatto nel passato.

Ma quale direzione ?

Quella delle APE a 40 euro ? quella in cui chiunque può fare qualsiasi cosa a prescindere dal titolo di studio basti che abbia frequentato un corso di 40 ore ?

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Se nel 2018 sono solo 8, dico OTTO, i casi di ECO SISMA BONUS approvati e finanziati (leggi articolo) ci sarà un perchè. 

Occorre ritrovare il fascino sociale della nostra professione, il riconoscimento del valore dell'Ingegnere.

Cosa si pensa della distinzioni delle specializzazioni per i professionisti iscritti agli Ordini

Su FB dopo l'articolo su citato, ho realizzato un breve sondaggio su questi temi, ovvero ho chiesto "Cosa pensi della distinzioni delle specializzazioni per i professionisti iscritti agli Ordini ?"

L'opzione più votata è stata quella "Sufficiente l'iscrizione all'Ordine, si a ulteriori specializzazioni, ma volontarie e certificate" con oltre il 50% delle preferenze. E oltre il 30% ha scelto l'opzione "Occorre arrivare a una distinzione obbligatoria tra specializzazioni (strutturale, geotecnica, urbanistica, energetica, finiture ...)". Solo una minoranza ha quindi scelto "Sufficiente l'iscrizione all'Ordine, no ulteriori specializzazioni".

Mi sembra un indirizzo preciso per il Consiglio Nazionale degli Ingegneri, sia sulle scelte strategiche e politiche a rappresentanza della professione, sia per il CERT'ING.

"Quanto vale la mia firma ? dietro questa domanda, apparentemente banale, si cela la madre di tutte le battaglie per le professioni."

Specializzazione significa più norme ?

Questa considerazione sulla specializzazione non vorrei generasse un fraintendimento. 

In questi anni abbiamo assistito a una moltiplicazione senza limiti del contesto normativo nazionale e internazionale. Oggi abbiamo 900 pagine tra norme tecniche e circolare applicativa, e poiché sono ritenute insufficienti, si sono aggiunti richiami obbligatori, o quasi, a Linee Guida del Consiglio Superiore dei LLPP, Istruzioni CNR, Documenti dei VVF, Norme UNI, EN e ISO, oltre alle migliaia di pagine che derivano dagli Eurocodici e, se non bastasse, ai vincoli delle norme amministrative che fanno riferimento al DPR 380.2011 e a tutte le norme regionali e comunali.

Come ho già scritto più volte oggi, per installare un gazebo in giardino occorre una valutazione normativa - leggi sismiche, comunali, marcatura CE dei prodotti … - che un tempo neppure la costruzione di un ponte avrebbero richiesto.

Ma la spinta della maggiore specializzazione non nasce e non può nascere dalla bulimia normativa di un sistema che non riesce più porre un limite alla sua azione.

In questi giorni sto partecipando al XVIII Nazionale ANIDIS sulla Sismica (e poi al Congresso dell'ACI IC sull'evoluzione della progettazione del cemento armato, e questo mi porterà a non partecipare purtroppo al Congresso in Costa Smeralda degli Ordini degli Ingegneri) e questa esperienza all'interno del mondo della ricerca non solo mi sta consentendo di potermi aggiornare, e poi raccontare con INGENIO, sull'argomento ma anche di potermi confrontare e quindi maturare delle considerazioni sulla nostra professione.

Per esempio la riflessione raccolta da Antonello De Luca sul tema della normativa e delle basi per la progettazione.

In sintesi, Antonello, ha evidenziato come con l'evento del Giappone, in cui si sono raggiunte accelerazioni di 2,7 g con effetti amplificativi sullo spettro elastico fino a 12 g, molte costruzioni ben realizzate con vecchie norme, abbiano retto (prima dello tsunami). 

L'osservazione, anche a seguito delle relazioni generali sulle azioni sismiche prima di Douglas poi di Paulicci qui al Convegno Anidis, è che l'avanzamento delle conoscenze con strumentazioni sempre più diffuse ci ha fatto avere maggiore consapevolezza sulle azioni generate dai terremoti. Le costruzioni che hanno retto in Giappone mostrano che anche le capacità sono molto maggiori di quelle che presumiamo oggi con le norme odierne e quindi in grado di resistere a queste azioni.

Sembrerebbe che l'avanzamento delle conoscenze nel campo della capacità delle costruzioni non vada di pari passo e quindi ci costringa ad interventi sempre più importanti su costruzioni che hanno ben perrformato.

Antonello De Luca, insieme a Tomaso Trombetti, nella nostra discussione di oggi, hanno osservato che forse bisogna ricordare la convenzionalità del calcolo dell'ingegneria sismica, cosa che i grandi maestri ci hanno insegnato negli anni ottanta (che forse con troppi computer stiamo dimenticando).

E la stessa cosa mi ha espresso Gian Michele Calvi, la norma è un limite inferiore entro cui muoverci, ma la nostra professione ci impone di andare oltre questi confini, ci impone di affrontare la progettazione in modo diverso. E anchje da parte sua il monito, in tal senso, a non dimenticare gli insegnamenti acquisiti nel corso dell'evoluzione dell'ingegneria sismica.

Gian Michele Calvi: rivedere i principi della Progettazione Sismica

La Key Notes di Gian Michele Calvi è stata di uno straordinario spessore. E possibile vederla a questo LINK (mi scuso del formato artigianale delle riprese, ma le telecamere di INGENIO erano impegnate nel riprendere le sintesi delle relazioni scientifiche).

All'uscita confrontandomi con tanti amici, ricordo Marco Savoia, Sergio Lagormarsino, Guido Magenes ... era universale l'impressione dell'importanza di quanto ci era stato raccontato, della nuova tappa fissata per l'ingegneria sismica.

Ovviamente lascio al lettore la visione della relazione per sapere cosa sia stato detto, ma vorrei ricordare alcuni passaggi.

Il primo riguarda il tema della riduzione della vulnerabilità sismica, affrontata con una visione molto diversa da quella che le norme ci hanno abituato ad attuare, e in cui il parametro economico è ampiamente inserito. Nell'ambito della relazione vi sono un paio di slide che riguardano il confronto dei costi di intervento sulle diverse tipologie costruttive. Le considerazione espresse innanzitutto fanno capire quanto sia importante, in fase progettuale, considerare non solo i costi di costruzioni, ma anche quelli di manutenzione e quelli di intervento post sisma nel scegliere la tecnologia costruttiva. Ma tra le righe ho anche ritrovato le risposte a una recente polemica emersa con la pubblicazione delle NTC 2018 e della successiva circolare, ovvero della progettazione degli edifici a telaio in cemento armato in classe di bassa duttilità. Una polemica che invece di affrontare il tema da un punto di vista della mera tecnica delle costruzioni in ambito sismico ha, a mio parere, dato più importanza alle problematiche di calcolo. Già allora ne avevo parlato con Braga, il quale con una relazione che spero di poter pubblicare il prima possibile mi aveva giustificato l'esigenza di dover compiere scelte tecniche così "dispendiose" qualora si fosse voluto proseguire a progettare con telai. Ora trovere nella relazione di Calvi quelle considerazioni che permettono a ogni ingegnere appassionato e impegnato in ambito sismico di comprendere il perchè di alcune scelte nella norma, e che oggi forse vi sono prospettive per una diversa concezione strutturale dell'edificio.

Tenere fermo un ponte costa più che sostituirlo

Ma la parte più interesante trattata da Calvi è quella relativa ai Ponti, con una frase che da valore alla nostra professione del ruolo più intimo "progettare un ponte è facile, progettare la costruzione di un ponte è un'attività complessa".

Gian Michele Calvi ha mostrato alcuni video degli anni sessanta in cui si riprendeva la costruzione dei grandi ponti, ed ha sottolineato come chiunque oggi voglia occuparsi della manutenzione di questi ponti non possa limitarsi a guardare i progetti, ma debba studiarne la realizzazione.

Queste considerazioni liberano definitivamente l'ingegnere dall'immagine del "calcolatore" riconoscendogli una volta per tutti il ruolo del progettista. Perchè il progettista non si limita al calcolo, la sua difficoltà non si esaurisce nell'elaborazione dei modelli, del cosiddetto digital twin come va di moda oggi dire, ma entra e deve entrare nelle complessità della costruzione, nella valutazione di quali possono essere delle scelte che rendono il progetto "robusto" rispetto all'inevitabile imprecisione del cantiere, all'operato delle manovalanze, alle variabilità dei materiale e dei prodotti.

E in tutte queste scelte è necessario considerare gli aspetti economici riguardanti la costruzione, la vita di servizio, la gestione della menutenzione ordinaria e straordinaria, e anche - ovviamente - il comportamento in caso di eventi eccezionali.

E Calvi ha dimostrato come il costo conseguente la inagibilità di un immobile a seguito di un sisma sia decisamente più alto del costo di miglioramento.

E Calvi ha dimostrato come il costo sociale, ambientale ed economico di un fermo di un ponte in caso di manutenzione strordinaria sia molto più elevato del costo che si dovrebbe sostenere nel costruire quel ponte in modo più robusto.

L'appalto non deve basarsi su procedure anticorruzione, deve basarsi su una conoscenza tecnica corretta

... e in questo mio articolo in cui riprendo le parole di altri non posso non citare Massimo Mariani, quando ricorda che la nostra è una professione fatta anche di arte e artigianato, che nei nostri incontri sul territorio evidenzia l'importanza che l'ingegnere, quando deve progettare un intervento di manutenzione o miglioramento sismico debba farlo sul luogo, osservando la struttura, disegnando i particolari, senza affidarsi solo a modelli o a simulazioni. 

E tutte queste considerazioni ci fanno comprendere come sia sbagliato l'intero sistema degli appalti che ha regolato le infrastrutture nel nostro paese in questi ultimi anni.

I criteri di scelta che devono guidare un progetto non possono dipendere da una gara al massimo ribasso, non possono nascere dall'input che quel ponte è bello che sia "a forma di nave" (chissà, forse un architetto un giorno dirà che una nave dovrà allora avere la forma di un ponte ...) ma devono nascere da scelte tecnico/economiche che tengano conto di tutti questi fattori, e in particolare della necessità di una robustezza che va oltre i 50 anni di vita utile. Un ponte va progettato fin dall'inizio pensando alla sua vita utile, alla sua costruzioni, ai tempi di sua costruzione, alla sua manutenzione, alla sua robustezza.

E si capisce che se si vuole rendere reali queste considerazioni non basta rivedere il codice degli appalti. Occorre coinvolgere l'ingegnere in ogni fase, in ogni attività connessa con il costruire, con la gestione del costruito: nelle scelte burocratiche, nell'affidamento delle concessioni, nella valutazione della vulnerabilità del patrimonio storico e culturale ... 

San Benedetto di Norcia non può crollare nel 2016: abbiamo le conoscenze tecniche perchè non avvenga. Il Ponte Morandi non può crollare nel 2018: abbiamo le conoscenze tecniche perchè non avvenga. ...

E forse questo richiederebbe un Ministro delle Infrastrutture competente e non che arriva in questo settore con la vergine ignoranza di un bambino che inizia la prima elementare.

Questo è il sistema che da valore alla professione

Le parole di Antonello De Luca, le parole di Calvi, le parole del successivo intervento di Franco Braga, le parola di Mariani, ci portano in una unica direzione: all'ingegneria.

Ecco che cosa è l'ingegneria. Ecco chi è l'ingegnere. Ecco che cosa fa l'ingegnere.  

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E' questa la traccia strategica che il Consiglio Nazionale deve seguire nella susa azione. Ecco dove deve puntare la barra che Armando Zambrano ha in mano con la rappresentanza della nostra professione. Armando ha il carisma e la forza per farlo.

La distinzione netta di quelle che sono le nostre specialistiche competenze, la difesa dalle sovrapposizioni e contaminazioni, il riconoscimento del nostro ruolo, unico, insostituibile, nelle scelte fondamentali per lo sviluppo di un Paese. Qui ho parlato di Ingegneria Civile, ma potremmo fare le stesse considerazioni in ambito energetico, in ambito di telecomunicazioni, in ambito di smart city, in ambito di bioingegneria ...

Siamo l'unica professione che può dare questi contributi.

Siamo gli unici in grado di fare una vera relazione costi/benefici che non si basi sulle accise della benzina ma su valutazioni che tengono conto dell'esigenza non solo di collegare il nostro Paese al resto d'Europa e del mondo ma di farlo nel modo corretto, con opere in grado di resistere nel tempo e di costare il giusto.

Siamo gli unici a poter progettare delle città in grado di essere non solo robuste da un punto di vista sismico, ma anche rispetto agli altri rischi, e di farlo tenendo conto di un contesto sociale in cui poi chi compra spesso non ha le risorse per manutenere, per migliorare, per intervenire.

Siamo gli unici in grado di poter intervenire PRIMA del CROLLO su un monumento che tutto il mondo ci invidia ma la cecità di qualche sovraintendente pubblico con paura che la trasformazione finisca per inquinare la conservazione ha mantenuto fragile.

Questo è quello che possiamo fare, questo è quello che ci deve essere riconosciuto. 

Non servono finti crediti formativi per attestarlo.

E allora ha ancora senso chiamarci ingegneri e ha ancora senso iscriverci a un albo !