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Il futuro delle costruzioni italiane: la mia visione

Una riflessione a tutto tondo di Andrea Dari, dopo l'esperienza del Polcevera e dell'ultima finanziaria

In 10 anni perso il 35% degli investimenti in costruzioni. Grandi nomi delle imprese generali in forte crisi. Il numero dei permessi di costruire resta basso. Ogni mattina un esercito di camioncini senza brand di operai senza nome girano con materiale comprato in contanti per microristrutturazioni fatte per lo più in nero. I governi fanno finta di cambiare le regole degli appalti pubblici. Ma qual'è il futuro delle costruzioni italiane ? Quali i mercati ? cosa occorre fare per cambiare ? Una mia personalissima visione.

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Un piano per le infrastrutture: realtà o miraggio

Nel nostro Paese dal 2000 ad oggi si sono succeduti 12 diversi governi, a guida di 10 diversi Presidenti del Consiglio. Quindi abbiamo avuto mediamente un Governo diverso ogni 19 mesi.

Cosa c’entra questo con le costruzioni ? C’entra eccome.

Basta vedere le manovre finanziarie che sono state di anno in anno prodotte e approvate. Sono manovre a corto raggio, perchè devono tenere conto del fatto che dopo poco più di un anno e mezzo si tornerà a scegliere chi governa il Paese, che tra elezioni politiche, amministrative regionali, europee … e grandi città siamo sempre in campagna elettorale, e quindi ogni programma di investimento segue la linea del "panem et circenses”.

Prendiamo l’ultima manovra, si stanziano 8 miliardi e mezzo per la rigenerazione urbana, ma di questi, entrando nel merito solo 150 milioni sono per il 2020, e l’82% sono per gli anni tra il 2025 e 2034, quindi con un ampio spazio per i governi che arriveranno per rivederli, riprendersi, riassegnarli. Però il “panem” c’è, perchè si può affermare che sono stati stanziati 8 miliardi e mezzo per la riduzione di fenomeni di marginalizzazione e degrado sociale, nonché al miglioramento della qualità del decoro urbano e del tessuto sociale ed ambientale. Non è un esempio isolato, ma uno schema ripetuto per edilizia scolastica (2 miliardi e mezzo stanziati, ma solo 100 milioni per il 2020), per l’edilizia sanitaria, per le infrastrutture ...

Peraltro, per le infrastrutture, al fine di comprendere quanto potranno incidere sul portafoglio delle costruzioni nei prossimi anni occorre considerare che i valori messi in atto non potranno non considerare anche la necessità di aggiornare il parco mezzi e i sistemi energetici connessi, così come fare fronte all’enorme problema della manutenzione. Una prova ? il comunicato di ieri del MIT: "Via libera dalla Conferenza Unificata a progetti per oltre 5 miliardi”. Poi andando a leggere il comunicato si vede che "la quota più consistente di risorse assegnate, pari a 2 miliardi e 319 milioni, riguarda 17 progetti di trasporto pubblico locale presentati dalle città di Roma, Milano, Firenze, Bologna, Torino, La Spezia e Bergamo. Si tratta di nuove linee metropolitane, tramvie, filobus e fondi per l'acquisto di materiale rotabile, per dare una risposta alla domanda di mobilità sostenibile, ridurre l'impatto ambientale, l'incidentalità e il consumo energetico. Altri 2,2 miliardi sono stati assegnati alle Regioni per il rinnovo del parco autobus del trasporto pubblico locale e la sostituzione dei mezzi inquinanti. Oltre 523 milioni sono stati destinati agli interventi di messa in sicurezza di linee ferroviarie locali, attraverso il potenziamento tecnologico dei sistemi di controllo. Infine sono stati stanziati 250 milioni per la nuova costruzione e la manutenzione straordinaria dei ponti del bacino del Po: si tratta complessivamente di 76 interventi che interessano la Lombardia, l'Emilia Romagna, il Piemonte, la Liguria e il Veneto.

Quindi su 5 miliardi solo 250 milioni, ovvero il 5% sono assegnati a nuove costruzioni o a manutenzione.

D'altronde, per rendersi conto numericamente se queste osservazioni sono corrette o meno basta osservare i dati sui bandi di gara negli appalti pubblici. Nel 2003 si superavano i 40 miliardi, tra il 2006 e il 2010 si viaggiava nell'ordine del30 miliardi, tra il 2012 e il 2017 si è raramente sfiorato i 20 miliardi. Per il 2018 e 2019 si parla di circa 25 miliardi. Ma non stiamo parlando di un dato relativo alle nuove costruzioni, stiamo parlando di volumi globali, dove la quota in spese per manutenzione è crescente.

In un contesto in cui il clima perennemente elettorale porta la politica a strategie di corto raggio, è logico purtroppo aspettarci solo manovre che finanziano provvedimenti di immediata visibilità per chi vota, come il reddito di cittadinanza, quota 100 per le pensioni,  l’acquisto di libri e computer, la riverniciatura delle facciate dei centri storici, l’acquisto di mobili, o al massimo per i casi più lungimiranti la sostituzione di finestre o mezzi di trasporto, piuttosto che costosi progetti di rafforzamento delle infrastrutture i cui benefici si vedranno fra diversi anni, ma che nel frattempo comporteranno campagna pseudo ambientaliste di grande effetto e disagi per chi opera nelle zone oggetto delle opere.

"Oggi ogni politico sa che proporre una grande opera lo porterà poi avere contro campagne di comunicazione pseudo ambientaliste, cittadini arrabbiati per i disagi in fase di costruzione, ricorsi e controricorsi di chi ha perso la gara, possibili scandali per bulloni non marcati CE o controlli non effettuati ... a fronte di un beneficio che sarà misurabile solo ad opera finita. E fra un mese si vota. Allora comprende che è meglio parlare di lotta all'evasione" 

E' questo il motivo che mi spinge ad osservare che, seppur doveroso evocarlo, chi opera nel nostro settore non possa pensare di affidare la risoluzione dei nostri problemi al fatto che il Governo sostenga un grande piano per le infrastrutture.

Penso che purtroppo che il pensare che il Governo dedichi il “cosiddetto raschiamento del barile” ovvero le poche risorse raccimolabili in ogni manovra a un grande piano infrastrutturale è quanto mai illusorio.

Importante richiederlo, ma occorre fare anche altro.

Le costruzioni saranno trainate dalla digitalizzazione ? o saranno semplicemente cambiate ?

E’ uno degli slogan che gira oggi nel nostro settore. Non sono d’accordo. Le costruzioni sono trainate dagli investimenti, la digitalizzazione è invece uno strumento, necessario, utile, inderogabile, ineludibile.

Certo, alcuni settori industriali ne avranno un grande giovamento: in particolare l'impiantistica elettrica e termotecnica. Il mondo dell'ict collegato ale costruzioni crescerà, e ci saranno nuovi posti di lavoro specializzato, ma non vedo come possa il BIM portare a nuovi appalti. Ci saranno un crescente numero di appalti che avranno il BIM come requisito, non il viceversa.

A Singapore nel mega evento Bentley a cui sono stato invitato si è evidenziato come il progettare, costruire e gestire un opera in modo digitale possa comportare una riduzione dei costi del 20/30%. C’è chi afferma, correttamente, che questa quota potrà essere rinvestita in nuove costruzioni. Ma si tratta di uno scenario a lungo termine, e peraltro per le ragioni di cui sopra di non facile realizzazione nel nostro Paese, in cui ancora si discute se il BIM debba diventare obbligatorio o meno negli appalti pubblici.

Questa riduzione dei costi ci fa capire però una cosa: come la competizione a livello internazionale risentirà di questi effetti.

Chi progetta e chi costruisce non potrà non tenerne conto. Se è vero, come credo, che costruire con un’organizzazione in cui i processi principali sono digitalizzati comporta una forte riduzione dei costi, è chiaro che un’impresa tradizionale non potrà più competere nelle gare internazionali, se non riducendo il proprio margine a un limite talmente ridotto tale da diventare poi fragile, e al primo problema rischiare di saltare.

Ecco perchè la digitalizzazione delle costruzioni è un percorso ineludibile.

Oggi, anche in Italia si realizzano già opere in cui le macchine movimento terra si muovono con controllo satellitare sulla base di un progetto 3D. Italferr ha vinto premi internazionali per la linea Napoli Bari per l’uso del digitale nel progetto. I grandi studi di architettura stanno operando con un regime crescente con il BIM. Si sta mettendo a punto un piano per il controllo attraverso i sensori delle infrastrutture. Con una velocità crescente anche i committenti impareranno a utilizzare le banche dati che i processi digitalizzati gli avranno messo a disposizione. Il percorso è avviato, e porterà vantaggi per tutti, ma non ho l’impressione che possa portare a un incremento dei volume in costruzioni. 

La sostituzione infrastrutturale

Qualche giorno fa parlavo con il provveditore della Sicilia/Calabria, l’ing. Gianluca Ievolella. Più che parlarci l’ascoltavo, perchè godevo delle riflessioni di una persona di grande esperienza. Mi raccontava, tra le varie cose, di un importante viadotto oggetto delle sue attenzioni: costruito 50 anni orsono, ormai con le tristemente famose "Selle Gerber” fradicie, il calcestruzzo armato dell’impalcato con enormi problemi di carbonatazione e attacco delle armature e molto altro ancora … Cosa fare ? intervenire con una manutenzione straordinaria su tutto l’esistente oppure rinforzare le pile e sostituire l’impalcato ? meglio un impalcato vecchio, degradato, costruito secondo principi di 50 anni fa e rinforzato con modernissime tecnologie strutturali o un impalcato nuovo, progettato con secondo i moderni modelli di calcolo e materiali più controllati ?

Si tratta di una riflessione che ovviamente va estesa a tutte le infrastrutture e alle scelte strategiche da compiere per la loro manutenzione e gestione. Io abito a Rimini e nella mia vita mi è capitato spesso di prendere l’E45 tra Cesena e Terni. Non mi ricordo un viaggio in cui non ci fosse una corsia chiusa per manutenzione nella tratta tra Sarsina e San Sepolcro. Un solo viaggio, no, non me lo ricordo. Si continua a rattoppare un malato cronico.

A rischio di essere accusato di cinismo e di essere una persona senza cultura del costruire, a mio parere un ponte è un ponte. Scelti quindi 5 - 10 ponti che devono essere salvati a ogni costo, penso al ponte sul Basento di Musmeci, al ponte sul Tagliamento di Zorzi …, dopo una certa vita in servizio il ponte deve essere sostituito. Perché quando il degrado ha raggiunto un certo livello storico non esiste controllo che possa assicurarmi un livello soddisfacente di sicurezza.

Con il crollo del ponte sul Polcevera di Morandi abbiamo sentito le più grandi castronerie che la storia dell’ingegneria non aveva ancora raccolto. Ponti sorvegliati con satelliti per monitorare gli spostamenti, sensori posizionati a caso per assicurare il controllo dell’opera, ponti che durano in eterno. E’ vero, esistono ancora oggi ponti Romani che hanno oltre 2.000 anni di storia. A parte che sono i “sopravvissuti” di un enorme quantità di ponti che sono invece crollati. A parte che spesso hanno avuto dei parziali crolli, ripristinati anche con materiali di altri ponti. Ma va detto che sono ponti con luci molto limitate, con carichi ridotti. Un ponte con una grande luce, con un carico importante, con una posizione strategica, deve essere gestito indipendentemente da giudizi emozionali. 

"Non esiste il controllo assoluto. L'efficacia di un controllo dipende dalla vetustà dell'opera e dalla sua qualità nel tempo. A un certo punto l'opera deve essere sostituita, a meno che non sia un'opera d'arte, allora le logiche di spesa possono e devono essere diverse" 

E’ quindi necessario uscire da una cultura di stampo calcistico dell’ingegneria, in cui ci trasformiamo tutti un giorno in esperti di ponti, un altro in esperti di opere idrauliche, ... e affidare all’ingegneria vera la gestione del rinnovo delle infrastrutture esistenti in cui la logica della sostituzione diventi un elemento chiave al fine di non ritrovarci, poi, con un aumento dei costi di manutenzione insostenibile. Evitiamo di trovarci fra dieci anni a dover controllare ponti malridotti con cerotti malridotti.

La sostituzione infrastrutturale così come l’attività di miglioramento e rinforzo, ove conveniente, possono rappresentare una certezza per chi opera nelle costruzioni, per individuare le proprie politiche e strategie, i propri investimenti, più che la costruzione di nuove infrastrutture. E' questo un fronte del mercato del futuro che le imprese e gli stakeholders del settore devono considerare.

Nel calcestruzzo, per esempio, osservando anche quanto accade in Svizzera, è fondamentale investire nella ricerca dei super prodotti fibro rinforzati, sistemi che conentono attraverso la realizzazione di "involucri" o "cappature" super-resistenti di migliorare strutture esistenti con problemi di durabilità (e investire in informazione dei professionisti pere fare conoscere queste soluzioni). 

La sostituzione immobiliare

Il mercato immobiliare c'è. Certo siamo lontano dai valori del 2006, ma anche del 2013. Nel 2006 si convano circa 845mila compravendite immobiliari, nel 2013 erano scese a 390mila. Oggi siamo a circa 600mila. L'attenzione sull'edilizia residenziale c'è quindi, anche perchè quando si compra, vi è una crescente attenzione sulla qualità dell'immobile (oltre alla posizione, parametro sempre importante).

Questo spiega il successo in termini di capitali spesi dei micro incentivi sull'edilizia. Ma non possiamo fermarci all'apparenza. Dobbiamo porci delle domande sui reali effetti di questi micro-incentivi, visto che hanno drenato una quantità di soldi dei cittadini importante:

  • sono realmente serviti per combattere il lavoro nero ?
  • come hanno inciso sul settore delle costruzioni questi micro incentivi ? 
  • finiti gli incentivi che mercato lasceranno ?
  • ci lasciano un  patrimonio immobiliare più sano ? 

A fronte di indubbie luci occorre quindi prendere in considerazione anche molte ombre. Forse gli stessi soldi investiti in piani strategici di rinnovo o con soluzioni più coraggiose avrebbero prodotto risultati più importanti

Incentivi e lavoro nero

Sicuramente hanno aumentato il volume degli investimenti in microinterventi ma solo in parte sono serviti per contrastare il lavoro nero. Tra spendere 10.000 euro cash o 15.000 euro da recupera in quota parte in 10 anni il cittadino spesso preferisce la prima soluzione. Aveva ragione a mio parere il compianto Giorgio Squinzi, quando propose di agevolare il 100% degli importi di ristrutturazione: questo avrebbe sconfitto il lavoro nero, e la riemersione del fatturato avrebbe portato a un ritorno economico per lo stato sarebbe Stato importante.

Incentivi e miglioramento immobiliare

Peraltro hanno favorito un rattoppo a macchia di leopardo degli edifici.

Ieri avevamo edifici vecchi e inefficienti, oggi dopo tanti miliardi spesi abbiamo edifici ancora più vecchi ma con qualche appartamento efficiente.

La vera soluzione per avere edifici sicuri, efficienti, confortevoli, salubri è quella della sostituzione immobiliare.

Ma lo Stato non l’ha studiata, non ha avviato un piano serio per realizzarla, non l’ha finanziata, anzi con le norme amministrative vigenti continua burocraticamente e finanziariamente a ostacolarla (basti pensare al vincolo del rispetto della sagoma).

Peraltro nella maggior parte dei casi in cui in Italia si è concesso negli ultimi anni di costruire nuovi quartieri lo si è fatto senza alcun serio piano urbanistico che tenesse in considerazione gli aspetti sociali, l’ottimizzazione dei trasporti, la coniugazione con il lavoro, la valorizzazione del territorio. Si sono costruite periferie, non si è allargata la città, si è pensato alle case, non all’abitare. Nel mondo l'Urbanistica è la Scienza che studia lo sviluppo delle città, in Italia le norme per distinguere tra pergolato e pergotenda ...

La sostituzione immobiliare è un'attività complessa

Va anche detto che però la sostituzione immobiliare è un’attività complessa. Penso al mio condominio, vetusto e inefficiente: credo sia impossibile proporre ai 104 condomini di lasciare la propria abitazione per un paio di anni perchè si vuole costruirne un’altro più efficiente, sicuro, confortevole, salubre e con un valore immobiliare superiore.

Il problema peraltro esiste anche per gli edifici dell’edilizia popolare pubblica. Un governo di qualche anno fa decise irrazionalmente di vendere, per fare cassa, una parte di appartamenti a chi li abitava. Oggi abbiamo quindi edifici residenziali pubblici vetusti abitati in parte da proprietari, in parte da affittuari che pagano, e in parte da affittuari insolventi. Impossibile avviare un’attività di sostituzione.

Ecco perchè nel settore residenziale - anche se con fatica, malgrado il SismaBonus - il mercato più interessante continua ad essere quello del miglioramento dell’esistente, con la soluzione del “costruire con l’inquilino in casa”, ovvero tramite sistemi a involucro che spesso coniugano un efficientemente energetico e strutturale.

La struttura del mercato

Il termine dei micro incentivi creeranno un problema enorme in alcuni settori. Penso per esempio ai serramenti. Il mercato drogato dalle incentivazioni ha portato alla nascita di un numero incredibilmente alto di produttori, anzi di trasformatori. Quando finiranno le pillole il paziende potrebbe ammalarsi gravemente.

Ma i micro incentivi hanno creato anche altri effetti.

Federcostruzioni - grazie al Centro Studi ANCE - a gennaio a presentato nella Conferenza Stampa di Saie Bari i dati relativi al lavoro nelle costruzioni in Italia, nel Sud e nella Puglia. La fotografia evidenzia che c’è stata una enorme trasformazione. Crollato il numero di grandi, medie e piccole imprese, è aumentato il numero di micro imprese e artigiani. Di conseguenza è crollato il numero di lavoratori dipendenti, é andato in crisi il sistema delle casse edili e scuole edili, baluardo civile della formazione e assistenza del nostro settore, e abbiamo fatto un passo indietro sulla qualità del costruire. Alcune delle cause le abbiamo già evidenziate.

In un sistema che da un lato privilegia attraverso gli incentivi i micro lavori e dall’altro non prevede alcun filtro qualitativo/quantitativo al mercato del lavoro, e infine che penalizza con norme burocratiche e costi le imprese strutturale era naturale andare in questa direzione. Peraltro i patentini di specializzazione - per chi applica cartongessi, piastrelle, infissi, … - se ci sono sono volontari e poco sostenuti dal Paese, e quindi stiamo perdendo anche la nostra “scuola” del costruire, un tempo famosa nel mondo.

Il mercato di oggi privilegia chi ha l’ufficio in macchina o addirittura nel furgone, chi compra il materiale con soldi contanti e scontrino per poi operar più liberamente nell’incasso della ristrutturazione, di chi non rispetta gli orari di lavoro, non deve presentare il DURC. Ieri erano le imprese regolari ad essere svantaggiate, oggi anche gli artigiani regolari.

I committenti privati dei microlavori non hanno alcuna competenza per scegliere e valutare le proposte, gli importi riconosciuti ai professionisti per occuparsi delle ristrutturazioni sono talmente miseri che i professionisti stessi hanno smesso di controllare e tutelare il committente. Si limitano a dare alcune indicazioni. Per 3/4 mila euro di incarico non possono anche frequentare il cantiere. Le stesse imprese sono spesso scatole vuote che affidano a tanti artigiani le lavorazioni con poco controllo.

Esiste un problema committenza nelle costruzioni italiane

Esiste quindi un problema importantissimo della qualità della committenza nelle nostre costruzioni.

Nei piccoli lavori perchè la Signora Maria non sa nulla di quello che deve commissionare, si basa molto sul passaparola e le riviste fai da te, investe troppo poco sul professionista e così subisce, involontariamente, la conseguente la mancanza della presenza di una direzione lavori.

Nelle attività private più importanti - penso alla costruzione di un capannone, alla realizzazione di un pavimento industriale, ma anche alla realizzazione di un picolo condominio - perchè se un tempo, alla carenza della preparazione tecnica del committente, facevano da controparte le competenze di professionisti e imprese strutturate, oggi è diventato molto più debole anche questo bilanciamento. Le imprese non hanno più gli uffici tecnici interni, i nuovi professionisti non sempre hanno sufficiente esperienza di cantiere per poter supportare il committente nelle scelte basilari, gli importi spesi non sono quasi mai all'altezza di un coinvolgimento reale e continuativo di quelli con maggiore esperienza. 

Negli appalti pubblici, perchè se da un lato abbiamo un mondo che corre verso la digitalizzazione e la specializzazione noi in Italia abbiamo un sistema estremamente frammentato di centrali d’appalto, senza risorse per poter aggiornare processi e competenze, e una normativa che purtroppo è più attenta agli aspetti collegati alla burocrazia legale che all’efficace sviluppo del processo di costruzione.

E se la committenza non è all'altezza, allora il cammino parte con il piede sbagliato e non è detto che porti al traguardo sperato. 

Le priorità da affrontare per le costruzioni italiane

Cosa fare quindi ? che strada prendere per uscire dalla cronica crisi delle costruzioni italiane ? e gli operato del settore in che cosa devono investire ?

Tenuto conto quindi che i Governi durano meno di due anni, che siamo sempre in campagna elettorale, che difficilmente si realizzerà un vero piano per le nuove infrastrutture, che avremo un grande problema di manutenzione di quelle esistenti, che sarà difficile procede a piani di sostituzione immobiliare, che gli investimenti del governo punteranno più a micro incentivi che a grandi progetti, che i committenti non sono preparati e lo saranno sempre meno, che le imprese strutturate sono sempre di meno e i professionisti con meo risorse per fare i controlli quali sono le priorità quindi da affrontare ?

La priorità più grande a mio parere è quella di ricostruire il sistema delle costruzioni italiane.

Mettere a dormire per qualche anno la normativa antitrust per impegnarsi come Paese, e quindi a partire dal Governo, in un piano che abbia come primo obiettivo quello di ridare qualità al sistema costruttivo, nelle sue radici, quindi nel suo tessuto di imprese, fornitori e persone.

Come ?  Per esempio creando più barriere all’ingresso del mercato. Ci sono mestieri in Italia dove l'accesso è limitato da alcuni requisiti, anche per lavori molto semplici e umili. Nelle Costruzioni no. Nel settore privato basta andare alla camera di commercio e aprire una partita IVA. Occorre che qualsiasi lavoro edile, pubblico o privato che sia, possa essere appaltato a imprese che abbiano un minimo di struttura, capitale e qualifiche. Sottolineo i lavori privati, oggi lasciati alla legge della giungla. Chiunque entra in cantiere deve avere un DURC, magari digitalizzato. Chiunque utilizzi una macchina o un'attrezzatura deve essere qualificato per farlo. I limiti degli orari di lavoro devono essere gli stessi per tutti. Attenzione, questo non significa distruggere il sub-appalto. Ma anche questo deve essere regolamentato: non attraverso le regole burocratiche e inutili previste oggi, ma riconoscendo il valore della specializzazione attraverso l’obbligo dei patentini.

Così torneremo ad avere imprese vere, in grado di investire in tecnologia, persone, formazione, sicurezza e soggetti specializzati la cui competenza sia finalmente riconosciuta. Salveremmo il sistema delle scuole edili e delle casse edili. Manterremo un livello di dignità del lavoro concreto anche nelle costruzioni. 

Non basta. La qualità va estesa. Per esempio mettendo mano anche ai settori della fornitura. Oggi non ci sono filtri sufficienti all'accesso del mercato o alla permanenza nel mercarto, e troppo spesso competono aziende che non hanno ne le capacità impiantistiche, ne le conoscenze tecniche, ne le risorse per poter garantire un sufficiente livello qualitativo. Oggi troppi settori sono regolati dallo sconto, non dalla competenza e dalla qualità del servizio offerto. Gli attuali bollini blu messi in atto per garantire questo livello qualitativo non funzionano. pensiamo al FPC del calcestruzzo. La scelta irrazionale di riconoscere con troppa facilità la possibilità di certificare l’FPC a troppi soggetti ha poi consentito il proliferare di tanti certificati sui generis, arrivando a una sostanziale svalutazione del significato di questo controllo e, alla fine, al fatto che oggi esistono impianti che non rinnovano il certificato da anni e continuano a lavorare.

Non basta. Occorre fare sistema con i professionisti. Per esempio, rendendo obbligatorio per qualsiasi attività edile il progetto, la direzione lavori e il collaudo. Anche per i piccoli lavori. In questo modo si creerebbe un maggiore controllo sulla qualità di qualsiasi attività edile, una migliore identificazione delle responsabilità, un momento formale di chiusura di un cantiere e quindi, anche, di controllo della documentazione esistente e di chiusura dei pagamenti.

Occorre quindi:

  • da una parte un Governo che al di là dei proclami e del “panem et circenses” voglia davvero interessarsi a come spende i suoi soldi e alla salvaguardia di un tessuto industriale importante del proprio paese
  • e dall’altra parte un sistema imprenditoriale che al di là di ogni retorica corporativa faccia squadra, e con l’obiettivo di puntare a una rinascita del settore sappia fare selezione anche al proprio interno.

Parallelamente, poste le basi per una ricostruzione del settore delle costruzioni, la speranza è che si abbandoni la programmazione populistica degli investimenti e si torni a programmare il futuro del nostro Paese pensando a dove vorremo essere nel 2050, e non solo nelmese di gennaio del 2020 quando si vota in Emilia Romagna e in Calabria.