Digitalizzazione
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La digitalizzazione consapevole: verso figure e ruoli per una differente produttività

Gli intervistati sono stati chiamati a rispondere a dieci quesiti, organizzati in due sezioni distinte, e orientati a comprendere che tipo di ruolo hanno avuto professionisti e strumenti utilizzati durante questo periodo di lockdown, compreso il livello di maturità acquisito o da acquisire per il corretto utilizzo di metodi e tools digitali.

La digitalizzazione obbligata

La situazione emergenziale degli ultimi mesi ha portato all’attenzione dei media l’utilizzo delle tecnologie e dei processi digitali, resosi obbligatorio per le necessità contingenti indotte dal lockdown.

Per garantire una soglia minima di produttività numerose piccole e medie imprese italiane, ancora parzialmente assopite per la crisi economica non certo conclusa, si sono ritrovate d’improvviso proiettate nel sogno della digitalizzazione produttiva o, come spesso accade, nel peggiore dei loro incubi.

Se è un fatto tangibile, infatti, che la corsa verso soluzioni di contrasto al distanziamento indotto dal diffondersi del Covid-19 abbia mostrato come digitalizzare i flussi di lavoro sia un approccio in parte già praticabile, è altresì vero che molte pratiche sono state adottate frettolosamente e senza consapevolezza; il risultato ottenuto in certi casi è stato un aggravio di lavoro per molte delle figure coinvolte e uno spreco di risorse che di “smart” ha avuto davvero poco.

Il tempo di molti, trascorso davanti al monitor per svolgere mansioni prima più immediate nella pratica d’ufficio e rallentate ora dall’impreparazione all’utilizzo di piattaforme digitali di comunicazione o dalla inadeguatezza di ambienti di condivisione dati, è l’indicatore più affidabile di come la transizione digitale richieda una preparazione per essere efficace. Sia in termini di formazione metodologica che di conoscenza strumenti.

In un lavoro recentissimo Nunzio Casalino e altri autori1  scrivono di “resilienza digitale”, ad indicare come la capacità di mutare i propri approcci in funzione delle circostanze sia una caratteristica necessaria per la sopravvivenza e il successo dei modelli di business delle PMI nell’immediato futuro. È interessante come questa considerazione sia declinata al coinvolgimento di tutte le figure della filiera, dal decision making dirigenziale sino al comparto produttivo diretto.


1Digital Strategies and Organizational Performances of SMEs in the Age of Coronavirus

Nunzio Casalino, Ireneusz Żuchowski, Nikos Labrinos, Ángel Nieto e Jose A. Jimenez. (2020). Digital Strategies and Organizational Performances of SMEs in the Age of Coronavirus: Balancing Digital Transformation with An Effective Business Resilience. In SSRN Electronic Journal. 8. 347-380. 10.2139/ssrn.3563426.

La preparazione di tutti è dunque di grande rilevanza, in particolare nelle piccole realtà che, aggregate, costituiscono la massa critica del comparto produttivo nazionale delle costruzioni.

Alexander Osterwalder2  ha definito un modello di business come la logica attuativa con la quale un’azienda crea, distribuisce e immagazzina valore. Se è vero che la transizione digitale implica in primis una mutazione di tale modello di business, questo deve quindi creare valore, soddisfacendo l’esigenza di risolvere proficuamente problemi, anche complicati, indipendentemente dal comparto produttivo di afferenza.


2Business Model Generation: A Handbook for Visionaries, Game Changers, and Challengers

Alexander Osterwalder e Yves Pigneur. (2010). Business Model Generation: A Handbook for Visionaries, Game Changers, and Challengers. John Wiley & Sons Inc

All’interno del mondo delle costruzioni questo si fa complesso, dacché entrano in gioco dinamiche legate a una trasformazione profonda delle svariate prassi radicate da molto tempo in abitudini lavorative fin troppo consolidate. 

Se le grandi realtà possiedono risorse e margini per affrontare il rischio di tali cambiamenti (e lo hanno già dimostrato da tempo intuendone i vantaggi d’investimento), un discorso completamente diverso riguarda le PMI, che devono innovare per sopravvivere, senza potersi permettere passi falsi o pericolose perdite di risorse.

I troppo facili entusiasmi della digitalizzazione da Industria 4.0 della prima ora, dove si celebrava il potenziale di un approccio in divenire latore di benefici per tutti, si sono presto trasformati nella consapevolezza di una serie di ostacoli a difficoltà crescente da superare, da parte di chi si vede costretto a dialogare con realtà che rendono un obbligo il linguaggio digitale per esprimere valore secondo standard fissati da altri, con investimento di tempo e conoscenza.

Per questi attori - forse i più importanti del nostro tempo - le ricette che invitano alla transizione al digitale assoluto, al cambiamento forzato dei modelli di lavoro, all’attenzione rivolta verso il dato informativo e non più al solo prodotto tangibile, sono diventate litanie vuote, private del loro significato più pratico.

La corsa al digitale nell’emergenza, può aver ulteriormente acuito questa sofferenza, non essendoci sempre state, nei contesti produttivi bloccati dalla pandemia, figure di coordinamento preparate a suggerire una strada, con un chiaro obiettivo di produzione valido anche per le realtà più piccole.

  

Gli artigiani del digitale

Standard e norme dedicate al mondo delle costruzioni dedicano ampio spazio ai ruoli e alle mansioni di chi ha l’incarico di coordinare e sviluppare il flusso di lavoro digitale, basti pensare ad esempio alle UNI EN ISO 19650 od alle nostre UNI 11337, per circoscrivere al solo ambito BIM.

Occorre però specificare ancora una volta che questi inquadramenti sono di sistema, immaginati per coprire tutti i meccanismi di una macchina che funziona, a regime, quando tutte le sue parti lavorano di concerto.

E nella realtà di tutti i giorni? Quella fatta “in analogico”, quella dove la digitalizzazione da Covid-19 è stata in massima parte videoconferenza, posta elettronica, instant messaging per replicare quello che si faceva prima tra colleghi in ufficio, senza introdurre novità eclatanti ma attuata per garantire un barlume di continuità produttiva? Un dominio fatto di consuetudini, senza la rinegoziazione di ruoli e mansioni. 

Il risultato? Reperibilità continuata in situazioni e tempi non immaginabili in studio o in azienda, aggravio di lavoro da svolgere per il non funzionamento di programmi informatici o non conoscenza funzionale di piattaforme in regime condiviso.

Un sondaggio tra gli addetti

Per circoscrivere più capillarmente l’impatto che la “digitalizzazione forzata”, imposta dal distanziamento sociale, ha generato in queste settimane è stato proposto un sondaggio ad un piccolo gruppo di professionisti del settore delle costruzioni (123 persone) che, in forma anonima, sono stati invitati a partecipare attraverso le pagine di gruppi professionali nei social networks LinkedIn e Facebook.

Gli intervistati sono stati chiamati a rispondere a dieci quesiti, organizzati in due sezioni distinte, e orientati a comprendere che tipo di ruolo hanno avuto professionisti e strumenti utilizzati durante questo periodo di lockdown, compreso il livello di maturità acquisito o da acquisire per il corretto utilizzo di metodi e tools digitali. 

In massima parte si è fatto riferimento a piattaforme atte a consentire il regolare svolgimento delle attività lavorative usuali, per un ventaglio di figure che va presumibilmente dal piccolo studio alla realtà strutturata. 

Alla domanda: “Durante il periodo di lockdown (D.P.C.M. 10 aprile 2020) hai continuato a svolgere attività lavorative mediante l'utilizzo di strumenti digitali?” la quasi totalità degli intervistati (122) ha, abbastanza prevedibilmente, risposto di sì. Ma qualche indicazione in più si può estrarre dal quesito successivo: “Che tipo di strumentazione hardware hai utilizzato maggiormente per sfruttare risorse digitali durante il lockdown?”.

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Se portatili e laptop hanno dominato il contesto, workstation o computer desktop potrebbero configurare situazioni dove circa il 20% dei professionisti consultati lavorano già da remoto, in sostituzione od in aggiunta alla produzione da ufficio. Tablet, Smart TV o altri device non sono stati presi in considerazione dai rispondenti.

Il quesito: “Che tipo di attività professionale hai svolto mediante l'utilizzo di strumenti digitali, durante il lockdown?” fornisce qualche indicazione in merito alle attività svolte, con una buona risposta sulla progettazione, sulla consulenza e sulla docenza in corsi di formazione.

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Tuttavia, alcuni indicatori interessanti della declinazione alla trasposizione di modalità operative tradizionali rispetto ad un lavoro coordinato e coerente, appaiono dal quesito “Quali risorse digitali hai utilizzato maggiormente durante il periodo di lockdown?”. 

Gli ambienti di condivisione dei dati, intesi come ecosistemi in grado di aggregare il lavoro, distribuirlo, consentirne il confronto tra pari su strutture preposte, viene utilizzato ma in misura minore rispetto agli strumenti di sola comunicazione (videochiamata , chat, digital rooms, ecc…). Si può immaginare che questi strumenti siano appannaggio di realtà produttive più consolidate.

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Fortunatamente, alla domanda “Sei stato in grado di integrare alle risorse del quesito precedente gli strumenti digitali che utilizzavi prima del lockdown (gestionali, ambienti CAD/BIM, ecc...)?” la grande maggioranza dei partecipanti al sondaggio risponde positivamente.

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Emerge inoltre, dal quesito “Avevi già competenze per l'utilizzo degli strumenti che hai sfruttato in queste settimane?” che l’apprendimento sull’uso degli strumenti e stato agevole se non addirittura già in essere prima dell’emergenza, anche a seguito della presenza per le strutture più grandi di reparti informatici preposti.

 

... L'ARTICOLO PROSEGUE IN ALLEGATO con tutti i risultati dell'indagine e le conclusioni

 

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