Calcestruzzo Armato
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Origine, evoluzione e rigenerazione delle costruzioni in calcestruzzo armato

Origine, evoluzione e rigenerazione delle costruzioni in calcestruzzo armato. Approfondimento sul tema del recupero edilizio

Cenni sull’evoluzione del calcestruzzo armato

Lo sviluppo delle tecnologie applicate allo studio dei materiali da costruzione ha portato a concepire alla fine dell’ottocento, ma soprattutto nei primi del ‘900, nuovi materiali artificiali, come l’acciaio e il calcestruzzo armato, con particolari caratteristiche prestazionali che hanno consentito l’adozione di un nuovo criterio costruttivo: il sistema intelaiato. Le strutture intelaiate in calcestruzzo armato per le caratteristiche intrinseche dei materiali che lo compongono garantiscono un alto grado di resistenza alla deformabilità. Le elevate caratteristiche di resistenza del calcestruzzo armato hanno infatti consentito, rispetto alle più antiche tecniche costruttive, una notevole riduzione delle sezioni resistenti degli elementi strutturali. Tali caratteristiche determinano anche una riduzione delle forze d’inerzia generate dall’accelerazione sismica, impossibile nelle costruzioni in muratura portante, caratterizzate da una notevole massa e quindi sottoposte ad una maggiore intensità delle forze d’inerzia. 

Nel complesso percorso evolutivo dei sistemi costruttivi i materiali hanno avuto un ruolo determinante sia sotto il profilo prettamente strutturale, dando luogo a strutture più solide e resistenti, sia dal punto di vista formale, facendo acquisire all’organismo edilizio più leggerezza e flessibilità, una nuova spazialità più consona ai luoghi ed ai tempi. 

In particolare, il calcestruzzo armato negli anni ha saputo conquistare vari campi di impiego nelle costruzioni civili ed industriali e si è creata negli anni una forma di sensibilità nei confronti delle sue capacità prestazionali in quanto considerato un “materiale”, una sorta di “pietra artificiale” con la quale poter realizzare le più svariate forme, grandi altezze e interessanti leggerezze. 

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Chiesa sull’autostrada di Michelucci.

Negli anni del movimento moderno il linguaggio relativo alla forma del manufatto edilizio ha subito grandi innovazioni, sia in termini concettuali (pensiamo al principio della “linea pura” di Le Corbusier), che in termini costruttivi. Gli organismi architettonici però in diversi casi, cominciano a rilevare la mancanza di una serie di accorgimenti utili a prevenire il degrado delle strutture “Opere” come la chiesa di Michelucci sull’autostrada del Sole, la unitè d’abitation di Le Corbusier, il Bauhaus di Gropius, sono divenute un elenco di degradi: effluorescenze, umidità ascendente, scrostamenti… ma queste sono icone dell’architettura la cui manutenzione è d’obbligo. Diverso è stato il destino degli edifici che hanno costruito le nostre periferie urbane. 

Unitè d’abitation di Le Corbusier a Parigi.

Unitè d’abitation di Le Corbusier a Parigi. Particolari dei degradi in facciata.

Diciamo pure che il linguaggio dell’architettura moderna (o meglio ciò che di questo è stato recepito dalla cultura comune) ha dato l’avvio inconsapevolmente al linguaggio anonimo delle nostre periferie, la speculazione edilizia ha poi fatto tutto il resto utilizzando un materiale ed una tecnica nuova ed assoggettandola alle proprie esigenze, privando gli edifici dei requisiti più elementari dell’affidabilità, della sicurezza, della durabilità, i risultati pessimi sono sotto gli occhi di tutti. Per il precoce invecchiamento che si registra in buona parte delle costruzioni in calcestruzzo armato realizzate nel novecento, è necessario ricorrere a immediati interventi di recupero edilizio laddove non si è provveduto alle regolari opere di manutenzione. Troppo spesso si sono utilizzati materiali di rivestimento con pericolosi giunti che permettono l’infiltrazione di acqua, intonaci o plastici non traspiranti o troppo permeabili, riseghe nei prospetti o rilievi che espongono la struttura a degradi di ogni genere. La compatibilità tra la forma ed il materiale che realizza la struttura è stata più volte disattesa. Progettare nel rispetto della qualità in edilizia e per la sostenibilità significa anche partire dai requisiti di fattibilità dello stesso materiale, che va trattato e messo in opera con i dovuti accorgimenti di prevenzione dell’obsolescenza. Eludere lo stretto rapporto tra il linguaggio formale e il linguaggio strutturale confidando solo nelle caratteristiche e nelle proprietà intrinseche del materiale è stata spesso pura utopia. Lo scenario delle periferie urbane degradate purtroppo ne danno ampia testimonianza.  

Rigenerare le costruzioni in calcestruzzo armato

Il recupero del patrimonio edilizio

Il recupero del patrimonio edilizio ha un ruolo determinante nell’ambito dei processi di trasformazione urbana ed è un importante mezzo per il riequilibrio urbano e territoriale. Per recupero edilizio si intende la riutilizzazione di manufatti preesistenti, degradati o obsoleti, ma tali da poter essere risanabili e riqualificabili; in altre parole per recupero si intende quell’operazione atta a risolvere gli eventuali danni presenti in un edificio riportandolo alle sue condizioni originarie di abitabilità e/o agibilità. 

Da oltre mezzo secolo si discute sui termini di recupero, riqualificazione e manutenzione e si è progressivamente affermata la necessità di conseguire il miglioramento delle costruzioni esistenti e di adeguarle alle nuove esigenze funzionali. 

Parlare di recupero delle preesistenze edilizie significa porre i problemi del ruolo del processo tecnologico, in maniera diversa che nelle nuove costruzioni.

Il progetto di recupero edilizio, rispetto a quello della progettazione di nuova edilizia, presenta una diversa tipologia di intervento che è condizionato e vincolato dalle limitazioni che l’esistente pone rispetto all’adeguamento alle sopravvenute esigenze dettate dalla riqualificazione o dal riuso. Il concetto di vincolo peraltro si estende al rapporto con il luogo, alle condizioni abitative, alla qualità dell’immagine formale. Il recupero edilizio è ragionevolmente applicato su quei manufatti costruiti nel secolo scorso e soprattutto a partire da quegli anni ’50, in cui la fuga dai centri storici degradati e la smania del nuovo, generò una crescita edilizia smisurata in termini quantitativi e spesso scadente in termini qualitativi. 

Il boom edilizio degli anni ’50-‘60, ha generato la città moderna “degradata”, la periferia senza qualità, la perdita dei caratteri urbani locali, ma soprattutto la rottura con gli equilibri ambientali.

Oggi si riscontra una certa sensibilità alle problematiche sulla tutela dei beni culturali ed ambientali ma si fa fatica nel considerare il patrimonio edilizio tutto come risorsa. Vi è sempre un distinguo peraltro condivisibile tra ciò che è importante conservare, valorizzare e ciò che è necessario qualificare, adeguare, mantenere. 

Le ragioni, sia culturali che economiche, sono complesse e ciò che preme mettere ancora una volta in rilievo è che persino le nostre periferie, i cosiddetti “invasi di cemento”, sono una realtà che va tutelata, migliorata, se non altro in quanto facente funzione di valori e di beni economici che l’individuo vuole trasmettere. Cercare delle soluzioni per il mantenimento di questi valori è sempre argomento di assoluta priorità, soprattutto se questi edifici coprono nella città metropolitana funzioni istituzionali come scuole, ospedali, case di riposo.  

La rivalutazione delle periferie

Oggi si parla molto di riqualificazione delle periferie, Renzo Piano non ha dubbi sulla centralità delle periferie nella vita urbana: «La missione dell’architettura in questo secolo è salvare le periferie. Se non ci riusciamo sarà un disastro, non solo urbanistico, ma anche sociale per i nostri figli».

Anche in ambito accademico si prova a dar spazio a nuovi criteri estetici legati alla possibile rivalutazione di una “edilizia di cemento” che per tanto tempo ha considerato come causa primaria delle discontinuità urbane del presente. Laddove la cortina di palazzi in cemento armato si mescola a un’edilizia sub urbana e talora semi-rurale. Oggi si sta tentando di storicizzare l’edilizia dell’ultimo secolo e di capirne le problematiche interne non solo in termini tecnicistici e strutturali ma anche concettuali. Gli anonimi edifici non sono più solo “mostri di cemento” da relegare allo scadimento del linguaggio architettonico, ma insieme di microambienti da riqualificare. Il fine è la ricerca di nuovi criteri per cui tali edifici divengano un nuovo sistema di segni materiali da decifrare quali testimonianze e documenti di una nuova identità urbana che va, per le ragioni prima citate, salvata, aiutata, potenziando laddove possibile, le sue prerogative migliori. 

La necessità di una salda consapevolezza teorica, antropologica, sociale, ambientale ancorché tecnica e strutturale, è importante per scansare il rischio di cadere in un sordo tecnicismo, ovvero in una fiducia acritica sulla somma dei risultati da esso ottenibili. Oggi si pratica la strada di una nuova consapevolezza metodologica nel confronto continuo tra le tematiche sociali ed economiche e le “problematiche” del processo costruttivo.  

Migliorare questi edifici in calcestruzzo armato presenti e caratterizzanti le periferie, significa non solo potenziarli in termini materiali ma anche in termini culturali.

Diviene necessario aprire il dibattito su un’educazione culturale più ampia, che tenti di comprendere quel che oggi sarà il passato del domani. Bisogna attuarne la rigenerazione ed insieme formare un’educazione al rispetto dello spazio pubblico. Bisogna fondare le ragioni del recupero e della rigenerazione su basi vitali, su una cultura calata nella realtà e nella conflittualità del presente che va compreso e migliorato. 

Il recupero edilizio con i suoi svariati ambiti di lettura si applica su una realtà architettonica complessa, con differenti problematiche che riguardano sia il degrado che l’adeguamento alle nuove realtà dell’abitare. 

I due significati del "recupero"

Secondo i parametri di lettura sin qui esposti si è voluto dare al recupero due significati: il primo più tradizionale che vede il recupero come disciplina che interviene a fronteggiare i danni provocati dal tempo e, il più delle volte, da un’edilizia costruttivamente ingenua e sprovveduta; il secondo più concettuale e legato alle ultime “tendenze innovative”, che vedono il recupero indirizzato anche alla rigenerazione e riqualificazione del manufatto edilizio e al controllo della sua obsolescenza

Indici di sostenibilità e controllo dell’obsolescenza 

Il controllo dell’obsolescenza si attua progettando interventi relazionati con la previsione di durata del loro ciclo di vita, ovvero considerando tra gli standard prestazionali la variabile tempo.

Il fattore tempo per gli edifici in calcestruzzo armato è una tematica ampiamente dibattuta. La gestione della qualità edilizia nel tempo è soggetta a fattori complessi. La durata degli elementi costruttivi, relativa ai diversi fattori fisiologici e/o patologici che possono provocare condizioni di obsolescenza fisica e tecnologica, è certamente problematica a causa di variabili non sempre facilmente prevedibili. La qualità dell’intervento consta di tale controllo e può essere raggiunta solo come risultante dell’organizzazione delle variabili fisico-spaziali e funzionali relazionandole alle componenti ambientali. La ricerca deve essere orientata su soluzioni tecniche che possano attribuire alle costruzioni in calcestruzzo armato requisiti di massima manutenibilità, affidabilità e controllabilità dei comportamenti nel tempo. 

Da tempo tra i fattori primari della ricerca sulla sostenibilità vi sono il miglioramento del comfort ambientale e la riduzione dei costi di gestione. Tali fattori possono essere  conseguiti attraverso: l’analisi dei contesti (fattori climatici ed ambientali) in cui si inseriscono gli edifici (dimensionamento, configurazione, orientamento) al fine di individuare soluzioni di bilancio termico equilibrate; riduzione dei consumi energetici (controllo passivo del microclima interno, impiego di energia rinnovabili con pannelli solari per il riscaldamento dell’acqua sanitaria,  controllo delle dispersioni termiche); impiego di materiali riciclati (ad es. per calcestruzzi alleggeriti - per gli intonaci etc.); miglioramento degli aspetti acustici (pareti esterne e interne, infissi esterni); miglioramento degli aspetti igrotermici (con metodologie a basso impatto che favoriscano la ventilazione ed il raffrescamento estivo naturale – torri eoliche - e i riscaldamento invernale - serre solari) riducendo in tal modo i costi di gestione e i tassi di inquinamento; analisi della durabilità dei materiali e dei componenti utilizzati (qualità e  caratteristiche dei prodotti); manutenibilità e intercambiabilità dei componenti in base alla previsione di vita di ogni singolo componente (impianti in cavedi ispezionabili, finiture di coperture e chiusure facilmente asportabili) al fine di provvedere facilmente alla correzione degli eventuali danni. In particolare per le costruzioni in calcestruzzo di c.a. è importante che queste vengano garantite oltre che per la resistenza statica anche per la resistenza alle aggressioni ambientali.

Tali direttive risultano fondamentali ai fini della gestione della qualità dell’intervento, la cui riuscita non può essere delegata esclusivamente al materiale strutturale ma al sistema costruttivo e all’insieme delle componenti tecnologiche che realizzano e che concorrono in diversa misura al controllo dell’obsolescenza. 

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