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Il calcestruzzo ad alta tecnologia per la resistenza sismica: la sperimentazione con fumo di silice

Il problema del miglioramento sismico degli edifici storicizzati in calcestruzzo armato è un problema di particolare riguardo anche in funzione della nuova classificazione sismica del territorio italiano. A ciò si associa la necessità di poter intervenire sugli elementi strutturali in modo da non alterare la composizione delle sezioni geometriche in particolare per le architetture di particolare pregio del ventesimo secolo. La attuale possibilità di adoperare calcestruzzi ad alta tecnologia favorisce tale processo. Nell’articolo viene analizzata la evoluzione storica di tali conglomerati e viene descritta una sperimentazione con uso di fumo di silice. 

Tra progetto e realtà costruttiva ci sta la qualità dei materiali

Seppur accomunate dall’unico obiettivo di risposta sismica, dal punto di vista della sicurezza strutturale diversificate possono essere le tecnologie di approccio. La prima grande differenziazione è nella duplice via della nuova progettazione ma soprattutto del recupero delle strutture esistenti in funzione del grande patrimonio costruito sia in muratura che in calcestruzzo armato e se nei decenni precedenti molto si è studiato per le strutture in muratura portante ormai il problema più sentito è sempre più quello degli interventi sugli edifici intelaiati.

Queste architetture, a partire dalla prima metà del XX secolo, costituiscono un insieme storicizzato da tutelare e da recuperare anche relativamente alla parte maggiormente diffusa quale è l’edilizia non caratterizzata da particolare pregio.

Il successo di tale modo di costruire è dovuto al materiale adoperato che ha consentito uno sviluppo di idee progettuali inimmaginabile con la pietra naturale come già nel 1910 intuiva Félix Cardellach che nel suo volume ‘Filosofia de las Estructuras’ indicava le possibilità espressive e tecnologiche delle architetture in calcestruzzo come:
‘…l’universo di nuove e infinite forme costruttive, quella misteriosa regione dalla quale finora sono stati estratti, non senza difficoltà e dalle mani esperte di alcuni meccanici visionari, solamente la trave, l’arco, il tirante e la mensola…’ [Cardellach, 1910].

Se si volesse indicare il momento forse più caratterizzante della diffusione del materiale calcestruzzo sicuramente gli anni successivi alla fine della seconda guerra mondiale appaiono quelli di maggiore produzione artistica anche per la edilizia abitativa che fu necessaria per la ricostruzione. Grandi nomi, sia in Italia che all’estero, furono impegnati in importanti progetti lasciando un’impronta indelebile sulla storia del costruito. Tale progettazione di elevata qualità, che vide in molti casi la struttura straordinaria protagonista degli aspetti formali e di resistenza per lo più svincolati dai procedimenti numerici, si esplicò anche nelle opere di ingegneria civile come i ponti così come nelle infrastrutture anche se tale strada non fu priva di difficoltà e contraddizioni.

Come sottolinea Pier Luigi Nervi nell’introduzione del volume ‘Scienza o arte del costruire?’: ‘…Si può affermare che l’applicazione della ricerca teorica a base matematica allo studio dell’equilibrio interno di sistemi resistenti, iniziata nel secolo scorso e via via ampliata fino a raggiungere l’attuale notevole sviluppo, se ha portato un formidabile aiuto alla soluzione dei problemi statici, ha inevitabilmente contribuito a inaridire le fonti della intuizione e della sensibilità statica, favorendo quel distacco tra mentalità matematico-tecnica e mentalità intuitivo-artistica che consacrato nella divisione scolastica e professionale tra ingegneri e architetti, va considerato come una delle cause non ultime della crisi in cui da diversi decenni si dibatte l’architettura…’ [Nervi, 2014].

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La tecnologia è quindi fortemente presente nella procedura ideativa contribuendo a svincolare il progetto strutturale, parimenti all’eccesso di calcolo, dai lacci di una composizione caratterizzata da notevoli limiti e ristretta nell’ambito bidimensionale delle facciate. Per quel che riguarda gli interventi di restauro tale concetto permane inalterato nella stesura della Carta Italiana del Restauro del 1972 e va considerato come nonostante gli eventi sismici, dallo storico che colpì Messina a quello del Sannio del 1962, considerando solo il nostro paese, nessuna carta o indicazione tecnica specifica faccia riferimento esplicito al pericolo sismico indicandosi unicamente la ovvia necessità del consolidamento della struttura. Ciò produsse, inoltre, lo scadimento della preparazione esecutiva delle maestranze che videro nel conglomerato cementizio armato una lavorazione più semplice e meno caratterizzata da qualità manuale e cantieristica.

I risultati sulla conservazione di queste realizzazioni è attualmente fin troppo evidente per la scarsa durabilità e la netta diminuzione dei livelli prestazionali di resistenza meccanica e sismica. E’, quindi, sostanzialmente, un problema di ‘qualità’ legato a quello di prestazione (e quindi di manutenzione) in funzione della possibilità di definire la prestazione stessa come concetto strettamente legato al campo normativo, tecnologico ed ambientale. Da questo presupposto deriva come l’edificio possa considerarsi la materializzazione di prestazioni definite a priori che diventano in tal modo il contenuto stesso del progetto per cui la ‘qualità’ necessita di identificarsi in parametri in qualche modo misurabili per ogni momento progettuale.

Il limite di questo metodo progettuale è la limitata se non impossibile revisione degli aspetti formali che sono dettati dai criteri di scelta di prestazioni in funzione di fattori costruttivi e ambientali possibili. Un modello alternativo vede il controllo delle prestazioni in posizione conseguenziale alla scelta degli spazi funzionali e degli elementi tecnici che costituiscono soluzioni già verificate per adeguarle alle espressioni compositive. Tale metodologia, al contrario della prima, deve vedere la possibilità di rivedere le scelte progettuali ai fini delle risposte prestazionali assimilate al concetto di ‘qualità edilizia e ‘qualità architettonica’. 

E’ necessario, quindi, distinguere qualità architettonica da qualità edilizia considerando che la prima non è controllabile se non da pochi eletti al contrario della seconda considerando che l’edilizia deve sempre e comunque essere realizzata anche a discapito, in determinate occasioni, della qualità artistica. Tale problematica è antica e può essere richiamato, in proposito, il pensiero di Platone: “…L’arte non disvela ma vela il vero perché non è una forma di conoscenza; non migliora l’uomo ma lo corrompe perché è menzognera; non educa ma diseduca perché si rivolge alle facoltà arazionali dell’anima, che sono le parti inferiori di noi…”. E’ bene precisare che il concetto intende caratterizzare la forte richiesta di prestazioni soprattutto in zona sismica dove la sicurezza è la base di una metodologia progettuale che può prevedere, se non evitabile, la non contemporaneità dei due livelli di qualità richiamati. Il concetto di qualità architettonica sarà diverso da quello edilizio e conterrà comunque, comunicandolo, un messaggio indipendentemente dalla condizione che esso risponda a determinate esigenze costruttive. 

Si può affermare come l’incertezza per le modalità di calcolo per le strutture in calcestruzzo armato renda più complicato il concetto di affidare al solo elemento numerico la valutazione della resistenza di un edificio o di altra opera di ingegneria. Tali modalità sono legate ai fattori costitutivi non lineari dei materiali che lo compongono, cioè l’acciaio e il calcestruzzo, e alle tensioni tangenziali che si istaurano sulla superficie cilindrica che circonda le barre necessaria per assicurare la collaborazione tra i due materiali. L’ipotesi di perfetta aderenza è applicabile solo per bassi stati di sollecitazione: all’aumentare dello stato di deformazione aumentano gli scorrimenti. Al legame d’aderenza è legata anche la distribuzione delle lesioni, e quindi l’effetto del ‘tension stiffening’ [1]. Dopo la fessurazione il materiale è ancora in grado di assorbire sforzi di trazione per effetto del ‘tension softening’ ma questo fenomeno si esaurisce all’aumentare dello stato di deformazione. Tutto ciò risulta maggiormente aggravato in zona sismica. Negli ultimi anni sono state condotte molte prove sperimentali per valutare i parametri che influenzano questo meccanismo di trasmissione degli sforzi tra acciaio e calcestruzzo anche in virtù dei rilievi effettuati nel post sisma degli ultimi terremoti a partire da quello dell’Aquila in cui troppe sono state le situazioni di sfilamento dei ferri. 

In conclusione, si può affermare come la regola del buon costruire in sicurezza sia la priorità e che questa concezione non può essere lasciata alla sola responsabilità del calcolo numerico ma va affidata soprattutto alla qualità dei materiali e alla nerviana ‘sensibilità statica’ del progettista.

La tecnologia più approfondita possibile consente di superare quelle soglie di sicurezza, anche minime, che le formulazioni numeriche non possono assicurare. Ciò è ancora più evidente nel caso di miglioramento sismico i cui parametri di verifica restano squisitamente tecnologici legati ai materiali adoperati e al loro assemblaggio per realizzare un sistema costruttivo. Nel caso del sistema costruttivo intelaiato troppe sono le variabili di approssimazione, nel senso di ipotesi necessarie allo sviluppo di un sistema di calcolo anche di verifica sismica, che non consentono di assicurare una risposta sufficientemente certa in funzione dell’intensità del sisma atteso. La scienza delle costruzioni si fonda sulla legge di Hooke, ma come già insistentemente affermava Pier Luigi Nervi la non corrispondenza, anche parziale, di tale legge colpisce alle base i metodi di calcolo che restano unicamente teoria utile ma non rispondente alla realtà costruttiva. Si può affermare come la quasi totale maggioranza dei materiali edilizi non risponda alla legge di Hooke ed in particolare il conglomerato cementizio. Nervi poneva tale questione a valle degli studi di Gustavo Colonnetti che rilevava l’entità e il ruolo della plasticizzazione dei conglomerati cementizi e la loro non corrispondenza alla legge di Hooke [Nervi, 2014]. 

La soluzione, pertanto, è nell’utilizzo di conglomerati non ordinari ma ad alta tecnologia che consentano di superare, su solide basi scientifiche, la migliore risposta alle azioni sismiche. Attualmente la ricerca è arrivata a livelli molto alti affiancata dall’industria che pone a disposizione dei progettisti strutturali una serie di conglomerati caratterizzati da elevati livelli prestazionali e specializzati che sono frutto di una evoluzione, che va compresa e specificata, che parte dagli anni ’50 del ventesimo secolo.

 ...l’articolo integrale (SCARICABILE SOTTO, IN PDF) continua con la descrizione della evoluzione storica di calcestruzzi e successivamente la descrizione di una sperimentazione con uso di fumo di silice.

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