Sostenibilità | CO2
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Ridurre la produzione di CO2: Call senza telecamera, T-shirt obbligatorie, rinnovo condizionatori

Che cosa può fare ognuno di noi per ridurre la produzione di anidride carbonica? Molto, basta fermarsi a pensare cosa c'è dietro un'infinità di piccoli gesti quotidiani, a partire dall'invio di un'email.

 

Che cosa può fare ognuno di noi per ridurre la produzione di anidride carbonica? Molto, a partire dal non invio di un'email inutile, dallo spegnere una videocamera durante una call, ... a scegliere le tecnologie adeguate.

 

Quanta CO2 produciamo

Quanta CO2 si produce nel mondo? L’ultimo rapporto del Global Carbon Project evidenzia che nel 2019 la produzione di CO2 si è stabilizzata a 33 miliardi di tonnellate (Gt) mentre nel 2016 e nel 2017 era cresciuta da 32,2 a 32,7 Gt. 

Per comprendere meglio l’impatto che stiamo generando, basta valutare la concentrazione di anidride carbonica atmosferica media globale: nel 2019 era di 409,8 parti per milione (ppm in breve), con un intervallo di incertezza di più o meno 0,1 ppm. Nel 1991 eravamo a 356 ppm, nel 1971 a 320. Il livello di anidride carbonica in atmosfera non è mai stato così alto da 800.000 anni a questa parte. 

 

Emissioni di anidride carbonica nel mondo(Fonte: Climate.gov)

 

Negli ultimi 50 anni, le maggiori emissioni di CO2 sono arrivate da Stati Uniti e Paesi europei ed è stata la produzione di idrocarburi ha dare il contributo più elevato.

Oggi però è la Cina il più grande produttore di CO2, con 9,481 Gt di anidride carbonica, quasi il doppio di quella emessa dagli USA (4,888 Gt), anche se guardando la produzione pro-capite gli americani sono in realtà singolarmente responsabili di oltre il doppio delle emissioni prodotte dai cinesi. 

L’Europa nello stesso periodo ha calato le emissioni dell'1,3% e secondo lo stesso rapporto è responsabile dell’emissione di 2,9 Gt di CO2, pari al 9,6% delle emissioni globali. Prosegue il netto calo rispetto ai 3,5 Gt del 2017 e ai 3,1 Gt del 2018. Il passaggio dai fossili alle rinnovabili e dal carbone al gas naturale, ha portato a un calo di 0,12 Gt sul totale di 0,16 Gt di riduzione rispetto all’anno precedente.

Infatti, nel 2019, l’elettricità prodotta da centrali termoelettriche alimentate a carbone è crollata del 25% nell’Europa a 28 (Gran Bretagna compresa), mentre le centrali a gas sono aumentate del 15% superando complessivamente la produzione elettrica da carbone.

Questi dati emergono anche per l’Italia leggendo gli ultimi due rapporti presentati sulle emissioni inquinanti dall'Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA): tra il 1990 e il 2018 abbiamo registrato un calo nelle emissioni di CO2 del 17%. E la stessa cosa accade in altri Paesi Europei: meno 12% delle emissioni di anidride carbonica in Spagna, del 16% in Germania, del 20% in Francia e del 32% nel Regno Unito.

Ma si tratta di "dati oggettivi», ovvero che testimoniano una reale crescita di consapevolezza culturale, sociale e industriale di questi paesi ?

Il sospetto è che questi dati nascano più che altro da una progressiva deindustrializzazione dell’Europa e un passaggio della produzione industriale a Paesi senza limiti e tasse sulla CO2.

Un articolo pubblicato sulla versione spagnola di The Conversation prende ad esempio un iPhone Apple: disegnato negli USA, alcune componenti vengono prodotte in Malesia, la memoria in India, il rame viene da Mongolia e Cile (dove viene spesso estratto da persone che lavorano in condizioni disumane), e il tutto viene assemblato in Cina. Così facendo, le emissioni si suddividono in vari paesi del mondo, ma, nel caso di questo esempio, la responsabile è sempre e solo Apple.

 

Le emissioni di anidride carbonica per produrre energia

 

È quindi fondamentale che nei Paesi cosiddetti «virtuosi» la riduzione di produzione di CO2 nasca non da percorsi di delocalizzazione dei processi di produzione industriale ma da comportamenti concreti di responsabilità personale e pubblica. È necessario che avvenga a tutti i livelli.

Proverò di seguito a riprendere alcuni "casi" come esempio.

 

Quanta CO2 produce la climatizzazione dell'aria

L’87 % degli edifici negli USA sono già dotati di aria condizionata, mentre la Gran Bretagna (Paese non così caldo) destina il 20% dell’elettricità per il funzionamento dei condizionatori. Cina e l’India si stanno rapidamente adeguando: a Mumbai, in India, l’aria condizionata copre già il 40% del consumo energetico annuale e in Arabia Saudita vengono bruciati ogni anno un miliardo di barili di petrolio per l’aria condizionata.

Si prevede che il consumo di energia per l’aria condizionata aumenterà di 33 volte entro il 2100 in tutto il mondo a causa dell’urbanizzazione e di un generale aumento dei redditi e che nel 2060 la quantità di energia consumata per il condizionamento potrebbe superare quella utilizzata per il riscaldamento.

I Condizionatori non producono solo CO2.

La maggior parte delle tecnologie attualmente in uso producono freddo mediante processi di refrigerazione a compressione di vapore e utilizzano fluidi refrigeranti, come idrofluorocarburi o HFC, che assorbono e rilasciano calore. Va ricordato che gli HFC sono stati messi al bando in Europa dal 2015 a favore di nuovi refrigeranti a basso GWP, ma siamo ancora molto indietro. Non solo, se si si cambia solo il fluido ma non la macchina, il rendimento cala, quindi il problema in parte resta.

È quindi necessario pensare non solo a un cambio di fluidi ma anche a un cambio dei sistemi di condizionamento, anche perchè la vera transizione inizierà dal 2025 quando saranno tolti dal commercio i GWP al di sopra di una certa soglia (e molte macchine allora non funzioneranno più).

Oggi il cambio di condizionatore in un appartamento è finanziato con il 50% se applico l’incentivo della ristrutturazione e non ho alcun vincolo. Se applico l’Ecobonus e installo una pompa di calore arrivo al 65%, ma devo rispettare dei requisiti superiori ai minimi di legge (collegati al rendimento della macchina). Se collego anche un intervento sull’edificio, ed è plurifamiliare, arrivo al 75%. Se si fa la stessa cosa collegato anche alla parte sismica arrivo all’85%. Infine si può puntare al Superbonus e qui valgono più regole, tra cui il duplice salto di classe, l’intervento trainante …

Ma le domande che ci poniamo sono:

  • è giusto dare il 50% senza requisiti sul tipo di macchina installata?
  • è corretto incentivare l’installazione di macchine che dal 2025 soffriranno l’uso di nuovi liquidi a basso impatto?

Non stiamo parlando quindi di un problema piccolo. 

Per avere un quadro generale di che numeri si stia parlando ragioniamo per «etichette» che chiunque può comprendere.

Si prenda l’esempio di un monolocale, un piccolo appartamento quindi di circa 30 metri quadrati: l’anidride carbonica prodotta è di 78 grammi ogni ora con condizionatore classe energetica A+++, 132 grammi di CO2 se di classe energetica B, 220 se di classe energetica F. Il consumo sale se bisogna raffreddare una casa più grande. Ipotizzando invece un appartamento di circa 60 metri quadrati, si passa rispettivamente a 259 grammi, 440 e 733. 

Stiamo parlando di numeri importanti.

Ci sono forti connessioni tra la meteorologia e la qualità dell'aria, attraverso la chimica, i trasporti e le emissioni naturali. 

Lo dimostra uno studio pubblicato su Environmental Science & Technology e condotto da un gruppo di ricercatori del Dipartimento di Scienze dell’atmosfera dell’Università di Wisconsin-Madison: questo studio quantifica la relazione tra le temperature superficiali ambientali e le emissioni nell'aria EGU (anidride carbonica "CO2", biossido di zolfo "SO2" e ossidi di azoto "NOx") utilizzando dati storici.

Troviamo che gli EGU (unità di generazione di elettricità) negli Stati Uniti orientali dal 2007 al 2012 hanno mostrato un aumento del 3,87% ± 0,41% nella produzione di elettricità per aumento di °C durante i mesi estivi. Questo è associato a un aumento del 3,35%/°C ± 0,50%/°C delle emissioni di SO2, un aumento del 3,60%/°C ± 0,49%/°C delle emissioni di NOx e un 3,32%/°C ± 0,36%/° C aumento delle emissioni di CO2.

Le sensibilità variano per anno e per inquinante, con SO2 sia la sensibilità più alta (5,04% nel 2012) sia la sensibilità più bassa (2,19% nel 2007) in termini di media regionale. Il Texas mostra sensibilità 2007-2012 di 2,34%/°C ± 0,28%/°C per la generazione, 0,91%/°C ± 0,25%/°C per le emissioni di SO2, 2,15%/°C ± 0,29%/°C per le emissioni di NOx , e 1,78%/°C ± 0,22%/°C per le emissioni di CO2. 

Questi risultati evidenziano come i miglioramenti tecnologici dal lato della domanda e dell'offerta potrebbero svolgere un ruolo importante nella riduzione economica delle emissioni di carbonio e dell'inquinamento atmosferico.

 


Non solo parole per il cambiamento climatico

Quanti di noi si sono uniti a Greta Tintin Eleonora Ernman Thunberg, quanti si riempiono la bocca con la parola sostenibilità, quanti si lanciano in campagne urlate contro le industrie inquinanti … eppure poi scopriamo che nel nostro «piccolo» facciamo ben poco per la lotta contro il cambiamento climatico.


 

Quanta CO2 producono giacca e cravatta

Non solo tecnologia. Questi dati evidenziano quanto sia importante il comportamento di ognuno di noi. A cominciare dalle abitudini in ufficio. 

Paolo Scaroni, quando nel 2019 era amministratore delegato dell’ENI, lanciò una sfida sull’abbigliamento nei mesi estivi: in termini concreti consentì di aumentare la temperatura di 1°C da giugno a settembre negli edifici Eni, risparmiando circa il 9 per cento di energia elettrica e una proporzione equivalente di CO2.

Non si trattava di una novità. Ricordiamo che il 30 del luglio 2008 al fine di ridurre il consumo energetico e il carbon footprint della sede della Nazioni Unite di New York, anche il segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon lancia l’iniziativa “Cool UN”. L’iniziativa prevedeva un più oculato utilizzo dei climatizzatori, portando nell’edificio dove ha sede la segreteria la temperatura da 22,2 ° C a 25 ° C e da 21,1 ° C a 23,9 ° C nelle sale. 

Se vogliamo quindi contrastare il cambiamento climatico, è importante autoregolarci anche sul nostro stile di vita, su come ci vestiamo, cosa mangiamo, come utilizziamo i servizi e le utilities nel nostro quotidiano. E per misurare la nostra Carbon Foot Print ci sono tanti strumenti. Per esempio questo calcolatore online gratuito.

E se le T-Shirt sono di quelle che non si stirano ... ancora meno CO2 prodotta: stirare una camicia può arrivare a produrre 70 grammi di CO2. Attenzione ai materiali però, perchè anche per la produzione di questi capi si produce CO2.

 

Anche il WEB produce CO2

Basta giocare con il telefonino 12 ore al giorno. Basta sovrautilizzare gli strumenti digitali quando non ce n'è bisogno.

Uno studio di ADEMA, l'Agenzia francese per l'ambiente e la gestione dell’energia, ha evidenziato che 8 email emettono tanta anidride carbonica quanto quella prodotta da un'auto che percorre 1 km (una mail da 1 megabyte emette circa 19 grammi di CO2).

E ancora: si calcola che un'azienda con 100 dipendenti che inviano in media 33 messaggi di posta al giorno per circa 220 giorni all'anno, produca all'incirca 13,6 tonnellate di CO2, equivalenti a 13 viaggi andata e ritorno da Parigi a New York. Questo succede perché, prima di raggiungere i vari destinatari, le mail vengono copiate, più o meno 10 volte, dai vari server che hanno poi il compito di trasmetterle all'indirizzo di posta digitato.

Immagazzinare e-mail nei data center distribuiti a livello globale è un’operazione costosa, perché l’incredibile e continuo scambio di tutti questi dati apparentemente invisibili, che viaggiano “in silenzio” e a velocità elevatissime, è possibile solo perchè 45 miliardi di server sono stati installati ovunque, consumando energia per alimentazione e raffreddamento. 

Le stime del Cisco Visual Networking Index indicano che il traffico globale di 46.600 Gigabyte al secondo prodotto nel 2017 aumenterà fino a 150,700 Gigabyte nel 2022. Aumentano i Giga, aumenta l’inquinamento. 

Una ricerca dell'Università canadese McMaster pubblicata sul Journal of Cleaner Production, ha analizzato l'impatto ambientale di tutto il comparto ICT mondiale, ma in particolare quello degli smartphone: il settore IT rappresentava l'1% del carbon footprint mondiale, ma nel 2040 arriverà al 14% andando a fare concorrenza col grande dominatore della scena, i trasporti. 

Per limitare i danni, Tessa Gelisio, ambientalista e presidente di ForPlanet Onlus, ha lanciato dal suo blog Ecocentrica.tv un vademecum per rispettare l'ambiente ed evitare inutili sprechi.

Ecco le regole:

  1. Pensare prima di scrivere;
  2. Rileggere prima di spedire;
  3. Evitare i CC inutili;
  4. Usare le mailing list con intelligenza;
  5. Evitare le mail non conclusive;
  6. Organizzare un meeting;
  7. Svuotare la mailbox; 
  8. Ricordare l'allegato.

E poichè lo strumento «principe» dei collegamenti è lo smartphone e considerando che con un ciclo di vita di 2 anni, la produzione dello smartphone è responsabile di circa il 90% delle emissioni di CO2 causate dell’apparecchio, la soluzione è una e una sola: per arginare il problema, la prima soluzione consiste nel tenerli per più tempo prima di sostituirli.

 


Le Blockchain producono tonnellate di CO2

Gli ultimi dati sull’impatto che questo sistema ha sull’ambiente arrivano dall’Università di Cambridge e dall’International Energy Agency. Nel 2019 hanno stimato che le attività di mining in tutto il mondo attingono a fonti di energia a un ritmo di 120 terawattora all’anno, circa quanto una nazione di medie dimensioni, ma secondo l’ateneo statunitense potrebbe essere salito fino a 147,8. Le emissioni di anidride carbonica provocate dall’estrazione dei Bitcoin sono tra le 22 e le 22,9 tonnellate in un anno, livelli equivalenti a quelli prodotti dalla Giordania o dallo Sri Lanka. Numeri che rischierebbero addirittura di raddoppiare se, oltre al Bitcoin, si prendessero in considerazione anche tutte le altre criptovalute.

Fonte: Corriere della Sera


 

Attenzione allo streaming: produce CO2

Un recente studio della Purdue University ha calcolato che una sola ora di videoconferenza o streaming, ad esempio, emette 150-1.000 grammi di anidride carbonica (un litro di benzina bruciato da un'auto ne emette circa 2.000) e richiede 2-12 litri di acqua. Ma lasciare la fotocamera spenta durante una chiamata Web può ridurre queste impronte del 96%. 

Lo streaming di contenuti in definizione standard anziché in alta definizione durante l'utilizzo di app come Netflix o Hulu potrebbe anche portare a una riduzione dell'86%, hanno stimato i ricercatori.

L'impronta di carbonio di Internet rappresenta circa il 3,7% delle emissioni globali di gas serra: il WEB è il terzo paese produttore al mondo di CO2.

 Emissioni di CO2 dei social networkA new study estimates the approximate carbon, water and land footprints associated with each hour of data spent in popular internet apps. (Purdue University/Kayla Wiles)

 

Negli USA, ovviamente, il dato è peggiore: l'elaborazione e la trasmissione di dati Internet negli Stati Uniti ha un'impronta di carbonio superiore del 9% rispetto alla media mondiale. 

Ovviamente anche stare al telefono produce CO2. Un minuto di telefonata con Smartphone produce 57g di CO2. E ovviamente anche i videogiochi online. SaveOnEnergy ha calcolato che l’emissione combinata di CO2 per i sei giochi più venduti è di 841.131.250 kg. 

 

 Emissioni di CO2 dei videogiochi onlineFonte: Infodata il Sole 24 Ore

 

Lo studio Ericsson  “A quick guide to your digital carbon footprint” ha individuato tre casi tipo:

  1. Steve è un grande fruitore di Ict: tiene lo schermo accesso 13 ore al giorno e ne passa 4 a giocare; 
  2. Sarah è una consumatrice media: utilizza laptop, tablet e smartphone per 6 ore al giorno; 
  3. Shala invece si limita allo smartphone, per quattro ore al giorno. 

Quanto inquinano? 

Per Shala i chili di CO2 equivalente sono appena 44 in un anno, ossia lo 0,6% di quanto produce in un anno. Le abitudini e i dispositivi di Sarah fanno lievitare il conto a 170 kg, pari al 2% delle sue emissioni annue. Steve “il videogiocatore” produce invece 500 kg di CO2-equivalente. Vuol dire che l’Ict costituisce il 7% della sua impronta ambientale complessiva (quindi cinque volte la media dell’intero settore sulle emissioni globali.

Un altro approccio è quello di considerare i consumi energetici diretti a cui vanno aggiunti quelli indiretti legati alle estrazioni minerarie, alle trasformazioni industriali, ai trasporti internazionali e allo smaltimento dei prodotti elettronici. Una stima molto conservativa di un report dell’anno scorso indica che console e computer usati per il gaming consumano grosso modo fra 75 e 80 miliardi di kWh l’anno nel mondo – tanti quanti ne producono 25 centrali da 500 MW ciascuna.

È un problema importante che ha fatto avviare l’iniziativa Playing for the Planet da parte di 21 produttori mondiali di videogiochi che si sono ripromessi di ridurre le emissioni di CO2 del settore di 30 milioni di tonnellate entro il 2030.

 

Il rispetto per l'ambiente parte da noi

Con questi pochi esempi ho voluto evidenziare come la battaglia di tutte le battaglie, quella per la salvaguardia del clima, parta da noi, dal nostro comportamento, dai nostri gesti quotidiani, a casa, al lavoro, durante il tempo libero.

Come e quanto usiamo il cellulare, come facciamo la doccia o ci laviamo i denti, come e quanto usiamo l’aria condizionata, il colore della nostra macchina, l’uso delle mail, quanto guardiamo la televisione in streaming e con quale qualità … proviamo a farci caso, sono tutti comportamenti che ognuno di noi dimentica di «attenzionare».

Un'educazione all’ambiente che dovrebbe partire sì dalle scuole, ma soprattutto riguardare noi adulti, prontissimi a dichiararci ambientalisti, green e contro l’inquinamento, per poi rappresentare pessimi produttori di CO2 ed esempi per i piccoli e giovani che ci stanno a fianco.

Fondamentale il contributo dei tecnici. Il coinvolgimento di chi esercita una professione è di supporto fondamentale in un momento in cui si investono miliardi di euro per il rinnovo delle infrastrutture, delle città, degli edifici, degli impianti, degli strumenti di lavoro e di vita. E la complessità introdotta dall'evoluzione digitale fa comprendere quanto sia necessaria sempre più una contaminazione di esperienze e conoscenze. La sostenibilità nasce dal basso, ma con la guida di esperti sulle diverse materie coinvolte. E il nemico più grande da combattere in questa battaglia è l'ignoranza, spesso sostenuta da una politica populista che ha alla sua base scelte di tipo NIMBY (Not In My Back Yard) che ci guidano verso parole green ma un futuro fatto di discariche, investimenti sbagliati, disoccupazione, povertà.

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