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Geopolimeri al posto del cemento: quale calcestruzzo avremo nel futuro ?

Il problema della CO", e non solo, rappresenta la spina più dolorosa per l'intera filiera dei prodotti cementizi. Tra le soluzioni che la ricerca sta indagando vi è quella della sostituzione del cemento con i geopolimeri. Ecco qualche riflessione sul tema.

La sostenibilità richiede una visione olistica

La necessità di arrivare a una neutralità carbonica - e non solo, perchè metano e altri gas climalteranti non vanno trascurati - sta ponendo molti settori di fronte alla sfida di ridurre il proprio impatto sul clima. Tra questi vi è, ovviamente, anche quello delle costruzioni che nel solo ambito europeo contribuisce a circa il 9% del Pil con oltre 18 milioni di posti di lavoro.

L'approccio sulla sostenibilità può riguardare molti aspetti: i materiali da costruzione, i loro approvvigionamento e impiego, le fasi costruttive, l'efficienza dell'opera, la sua durata "in sicurezza" nel tempo, i costi di gestione e manutenzione, il cosiddetto "fine vita".

Personalmente sono contrario alle visioni ipercentriche, in cui si focalizzano problemi e soluzioni in modo troppo elementare su singoli aspetti, e dove gli annunci prevalgono sugli aspetti tecnici. Per esempio, non ritengo che l'uso di aggregati di riciclo sia una politica a perseguire per ogni tipo di costruzione, o che sia sempre meglio un cemento con poco clincker che uno ad alte prestazioni, o che l'uso del legno sia sempre sostenibile in ogni situazione, o che un edificio sia verde se ha degli alberi sui terrazzi. Credo che il problema debba sempre essere affrontato nella sua complessità, individuando le soluzioni che loro insieme consentano di arrivare al migliore risultato possibile.

Mi viene in mente un articolo che abbiamo pubblicato su Ingenio circa un anno fa "Progetto di ponti: un nuovo design per dimezzare la produzione di CO2" in cui i progettisti di HS2 tagliano la Carbon Foot Print dei viadotti e ponti grazie alla scelta di un design pioneristico che punta sull'uso dei materiali e tecnologie giuste per ogni componente dell'infrastruttura, ripreso poi anche da un altro articolo "Quanto può incidere il progetto sulla riduzione della CO2 di una infrastruttura".

Premesso ciò, condivido il fatto che sia necessario spingere sull'innovazione e sull'uso sempre più diffuso di prodotti di riciclo, che dovrebbe riguardare:

  • i materiali da costruzioni e i loro componenti
  • le tecnologie costrutttive
  • i processi che riguardano la produzione di materiali e tecnologie
  • i modelli di calcolo, con una forte attenzione agli aspetti multidisciplinari
  • i processi riguardanti le fasi di progettazione
  • i processi riguardanti le fasi costruttive
  • i modelli di gestione del funzionamento delle opere
  • i processi di controllo e manutenzione
  • i processi di fine vita

E in tutto questo, ovviamente, la digitalizzazione avrà un forte peso.

Detto tutto ciò, al fine di evitare qualsiasi fraintendimento, e puntando ora, come anticipato dal titolo dell'articolo, all'ambito dei materiali da costruzione, o meglio, alla riduzione dell'impronta al carbonio del calcestruzzo, prenderò spunto da un articolo che ho trovato su Green Report scritto da Alessia Famengo del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) per qualche considerazione e che richiama alcune affermazioni del dott. Matteo Panizza dell’Istituto di chimica della materia condensata e di tecnologie per l’energia (Icmate), sempre del Cnr.

 

Dal Cnr, geopolimeri da riciclo al posto del cemento per evitare l’80% delle emissioni di CO2

Come richiamato dall'articolo su citato e dalla mia lunga premessa, una delle strategie che consente di perseguire gli obiettivi dell'European Green Deal è basata sul riciclo e sul riuso dei rifiuti da costruzione e demolizione, in gergo Cdw (Construction and Demolition Waste), costituiti principalmente da elementi di origine minerale come calcestruzzo, laterizi, piastrelle e materiali ceramici, e da una serie di componenti minoritari, tipicamente legno, vetro, plastiche e materiali isolanti, materiali bituminosi e catrame.

La dott.ssa Famengo ricorda nell'articolo che "una buona parte dei rifiuti prodotti in Europa, proviene proprio dal settore delle costruzioni, nel 2018 la quota è stata pari a circa il 36%, su un totale complessivo di poco superiore a 2.300 milioni di tonnellate (fonte Eurostat). Nonostante l’obiettivo comunitario di riciclo e riuso dei Cdw non pericolosi fosse pari al 70% in peso entro il 2020, e considerato che materiali quali legno e metalli già da molto tempo sono inseriti in percorsi virtuosi di valorizzazione, il grosso dei Cdw (si stima circa il 60-70% del totale in Europa) è costituito da calcestruzzo, per lo più utilizzato nei sottofondi stradali o conferito in discarica”.

Questi prodotti, che da lungo tempo sono stati chiamati con il termine "Materie Prime Seconde" possono essere utilizzati nel calcestruzzo in sostituzione di parte degli aggregati. Il Dott. Panizza evidenzia infatti che “Studi recenti hanno dimostrato la possibilità di ottenere calcestruzzi formulati con aggregati riciclati (Rac) di proprietà comparabili a quelle delle formulazioni standard, a patto di operare un’attenta scelta fra le diverse tipologie di Cdw esistenti e un’ottimizzazione dei parametri di sintesi, a partire dal mescolamento tra riciclati e nuova matrice cementizia” ma “L’utilizzo dei Rac è fondamentalmente limitato dalla loro maggiore influenza sulla lavorabilità e sulle proprietà meccaniche rispetto ai calcestruzzi ottenuti con aggregati vergini, e dal basso costo di questi ultimi. Un altro aspetto sfavorevole è, la ridotta resistenza chimica degli aggregati da Cdw verso la carbonatazione e il degrado da cloruri e solfati. Per questi motivi, la normativa tecnica italiana per le costruzioni consente prudenzialmente l’uso di Rac provenienti da demolizioni di solo calcestruzzo o calcestruzzo armato e soltanto come aggregati grossi, assimilabili a ghiaia e ghiaino. Inoltre, possono essere utilizzati in proporzioni prestabilite e relative alla  classe di resistenza”.

Sull'uso degli aggregati di riciclo in realtà vi sono problemi normativi di peso maggiore rispetto anche quelli di natura tecnologica. Innanzitutto nel calcestruzzo strutturale è previsto l'uso solo di aggregati marcati CE. L'apporre la marcatura CE a prodottti di riciclo, le cui caratteristiche derivano fortemente dalle qualità dei materiali portati a demolizione e quindi sono molto variabili, è un ostacolo ovviamente difficile da superare.

E sul settore del riciclo pesa ora un problema più importamte. Come è noto a marzo il MITE ha inviato alla Commissione Europea lo schema di Regolamento relativo alla disciplina della cessazione della qualifica di rifiuto dei rifiuti inerti da costruzione e demolizione e di altri rifiuti inerti di origine minerale. La bozza di decreto del ministero della Transizione ecologica, in elaborazione da oltre tre anni, è stata notificata lo scorso 14 marzo alla Commissione Ue per espletare la procedura informativa cui sono sottoposte le regolamentazioni tecniche. Con questo decreto le aziende avranno 180 giorni di tempo dall'entrata in vigore per conformarsi alle nuove disposizioni (l'adeguamento è un obbligo). Secondo però i produttori di aggregati riciclati, se la bozza di regolamento sui rifiuti inerti non sarà emendata, gli impianti italiani di riciclo di inerti si fermeranno e con essi anche il settore delle costruzioni, per mancanza di siti per il conferimento dei propri rifiuti inerti.

Ne abbiamo parlato nell'articolo "Regolamento sui rifiuti inerti da C&D: senza modifiche il settore del riciclo rischia di bloccarsi". Sulla necessità di emendare il regolamento è intervenuto anche il Consiglio di Stato. Lo abbiamo approfondito con ANPAR nell'articolo "Regolamento End of Waste Mite: il parere del Consiglio di Stato" scritto da Giorgio Bressi. Recentemente, infatti, il Consiglio di Stato ha espresso il proprio parere consultivo sul nuovo regolamento del Mite riguardante la cessazione della qualifica di rifiuto dei rifiuti inerti da costruzione e demolizione e di altri di origine minerale. Il Cds ha evidenziato un problema di "logicità e proporzionalità complessiva" sul piano dell’adeguatezza delle soluzioni prescelte rispetto alle finalità indicate dal legislatore. ANPAR, l'associazione dei produttori di aggregati riciclati, ha predisposto con urgenza un Dossier per evidenziare come nel Decreto siano presenti numerosi errori, si introducono limiti sulla matrice fisica dell’aggregato riciclato dal devastante impatto sull’intero mondo dell’edilizia.

Se si vuole incrementare l'uso di aggregati di riciclo nel calcestruzzo non bastano quindi solo i CAM e tutti gli incentivi del mondo, occorre anche una normativa che ne semplifichi l'adozione.

 

Geopolimeri: una via alternativa al riuso

Tornando all'articolo di Alessia Famengo troviamo che "una delle strade per il riciclo dei Cdw nei materiali da costruzione consiste nell’utilizzare leganti diversi dalle classiche matrici a base di cemento."

Su Ingenio abbiamo pubblicato numerosi articoli sul tema, recuperando informazioni sulle principali ricerche in corso in tutto il mondo, anche le più improbabili (come quella a partire dai gusci di gamberetti e di granchio). In questo ambito troviamo, come suggerito dalla dott.ssa Flamengo "Una classe interessante di composti inorganici alternativi è costituita dai geopolimeri (Gp), derivanti dall’attivazione alcalina di alluminosilicati amorfi prodotti come scorie industriali (scorie di altoforno, ceneri da combustione del carbone) o ricavati da materiali rocciosi con un alto contenuto di kaolinite." Si tratta di soluzioni che dal punto di vista prestazionali ben si prestano per una sostituzione dei cementi tradizionali, come sottolineato dal Matteo Panizza “Le proprietà meccaniche comparabili con materiali a base di cemento e la maggiore versatilità nella combinazione con diversi tipi di Cdw, sia come aggregati sia come componenti parzialmente reattivi, rendono i Gp adatti a un utilizzo come materiali da costruzione. I geopolimeri sono stabili chimicamente e molto resistenti alle alte temperature. Si stima inoltre che, rispetto al cemento Portland, comportino riduzioni del 40-60% dell’energia richiesta per la loro produzione, e fino all’80% dell’emissione di CO₂”.

La maggiorparte delle soluzioni ad oggi studiate riguardano situazioni ancora lontane dall'applicazione industriale ma la ricerca porterà, ne sono certo, a soluzioni utilizzabili in tempi non così lunghi come molti si aspettano. Ho notizia di aziende italiane che stanno già studiando soluzioni avanzate e qualcuno che ha realizzato esempi in scala 1:1. Ma, anche in questo casi ci troviamo di fronte a un problema normativo. Mancano gli standars di prova e di certificazione, ma anche quelle linee guida o norme che devono stabilire le regole per un loro uso in ambito strutturale. 

 

Approccio prestazionale delle norme, ma con qualche perplessità in più 

Il problema della barriera normativa non riguarda solo i geopolimeri e i materiali da riciclo. Basta pensare al caso dei calcestruzzi fibrorinforzati che ho trattato in un recente articolo (Perchè la certificazione CVT per calcestruzzi preconfezionati fibrorinforzati è sbagliata).

Sull'uso di leganti diversi dal cemento ho però delle perplessità in più e non mi sento di applicare la stessa linea di pensiero che ha contradistinto l'articolo sugli FRC, anche perchè in questo caso si stava parlando di una tecnologia strasperimentata e utilizzata in tutto il mondo.

Qui abbiamo a che fare con soluzioni molto innovative, di cui abbiamo bisogno di avere consapevolezza delle prestazioni non solo in condisioni standard a breve/medio termine, ma nel tempo e nei diversi ambiti costruttivi. Ricordo, ad esempio, quando costruendo il Burj Khalifa ci si accorse che il problema del Creep, per situazioni così estreme, fosse maggiore di quanto fino a quel momento previsto (ci fu una pubblicazione ACi del Prof. Chiorino di Torino). Reazione al fuoco, resistenza agli agenti aggressivi nel tempo, livello di robustezza, compatibilità con le diverse armature, ... sono tante le componenti che devono essere studiate e verificate e quindi è chiaro che se da un lato la normativa non deve rallentare un processo forse ineludibile di evoluzione dei leganti dall'altro debba garantire il più alto livello di sicurezza come accade oggi per il calcestruzzo armato.

E l'equilibrio di questi due fattori richiede uno sviluppo della normativa su un piano più internazionale, per mettere a fattore comune più esperienze e conoscenze.

 

Qualche riflessione in più su calcestruzzo e sostenibilità

Sul tema della sostenibilità del calcestruzzo si possono aggiungere numerosi spunti, molti dei quali già trattati con INGENIO e che per brevità riprendo per punti.

Uso dei CSS nella produzione del cemento

I rifiuti solidi urbani possono essere un carburante non solo per i cosiddetti termovalorizzatori ma anche nei forni per cemento. In questo caso la temperatura di combustione è anche più alta e quindi si avrebbe anche una migliore gestione dal punto di vista ambientale. Il loro uso permetterebbe di risparmiare combustibili fossili, e quindi migliorare il bilancio della CO2 della produzione del cemento. In molti paesi si fa già, in Italia meno, per colpa dell'ignoranza generale delle pubbliche amministrazioni sul tema.

Catturare la CO2 dentro il calcestruzzo

La tecnologia canadese Carbon Cure, già attività in diversi paesi, è oggi disponibile anche in Italia. Si tratta di una gassificazione del calcestruzzo in fase di produzione. I vantaggi sono la cattura della CO2, una malta più grassa che favorisce la lavorabilità, e sembra che aumenti anche la resistenza del materiale.

Cementi di miscela

Le norme nazionali già contemplano l'uso di questi cementi a ridotta presenza di clinker. La scelta dello specifico cemento può consnetire anche di migliorare alcune prestazioni, in particolare sul tema della durabilità. Il loro utilizzo non è ancora arrivato ai livelli potenziali soprattutto per tre motivi: manca un paramentro di sostenibilità per classificare il calcestruzzo, i progettisti non li prescrivono, gli impianti di betonaggio hanno pochi silos del cemento e questo limita l'offerta.

Nuovi additivi per calcestruzzo

Le aziende del settore stanno mettendo a disposizione del mercato additivi "più robusti", ovvero in grado di operare anche in presenza di acque di lavaggio e aggregati di riciclo. QUesti additivi saranno un supporto fondamentale per una svolta green dei componenti del calcestruzzo.

Acqua salata e armature ad hoc

Il consumo di acqua per la produzione del calcestruzzo è un problema importante da affrontare. Basti pensare al lavagglio degli aggregati. Se si potesse utilizzare acqua salata si avrebbe un vantaggio enorme, ma poi ci sarebbe il problema della corrosione delle armature. Oggi però si stanno studiando e mettendo in commercio armature che non hanno il problema dell'aggressione dei cloruri. Una loro diffusione potrebbe portare quindi a una svolta delle politiche in campo idrico del settore.

Classificazione della sostenibilità del calcestruzzo

Servirebbe un indice di sostenibilità semplice da inserire a progetto in modo da facilitare una prescizione più consapevole del calcestruzzo, che tenga conto non solo delle prestazioni meccaniche e fisiche. So che ci si sta lavorando in ambito associativo. Sicuramente un passo avanti per il settore.