Architettura
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Design parametrico e stampa 3D per Zaha Hadid Architects

In occasione della scorsa Milano design week 2017 Zaha Hadid Architects ha presentato Thallus, un’ installazione
realizzata con l’ausilio di una stampante 3D

Nuove frontiere del design parametrico con la stampa 3D

In occasione della Milano design week 2017 Zaha Hadid Architects ha presentato Thallus, sette chilometri di “nastro” di plastica arrotolato su se stesso a creare una struttura che non sembra avere una logica apparente ma che offre una sensazione di bellezza e armonia.

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Thallus e 3D printed Zaha Hadid Chair

A prima vista si tratta di un’ installazione a metà strada tra scultura, artefatto e oggetto di design, in realtà è un esempio di cosa si può attualmente ottenere unendo il design parametrico con la stampa 3D.

Realizzata con l’ausilio di una stampante 3D la particolarità di Thallus consiste nell’approccio matematico adottato in fase di progettazione ed è il risultato del progetto ZHA CODE (Zaha Hadid Architects’ Computational Design) per la ricerca e la sperimentazione assistita con la robotica e il design computazionale che offrono la possibilità?di stampare e assemblare parti composte da diversi materiali con diverse proprietà fisiche e dinamiche emulando molto da vicino l’immagine e l’aspetto dei prototipi.

Thallus è la dimostrazione delle infinite potenzialità artistiche della stampante 3D, la sua struttura è fisicamente realizzata dalle convoluzioni di un nastro di PLA, materiale plastico che si usa comunemente nella stampa 3D.

A parte la base della struttura, il resto è stato realizzato grazie a un sistema di stampa 3D a sei assi che muovendosi variamente nello spazio ha generato e posizionato il nastro.

La forma ottenuta da Zaha Hadid ricorda quella di alcuni vegetali, come ad esempio la calla, e infatti thallus è il termine greco usato per indicare le piante la cui struttura passa senza distinzione dallo stelo al fiore o alle foglie.

Le variazioni nella posizione e nella curvatura del nastro lungo i suoi sette chilometri sembrano casuali ma sono in realtà un’applicazione di design parametrico.

Il nastro ha un andamento di base i cui parametri (come la “densità” e la curvatura) sono stati variati automaticamente mentre il nastro stesso veniva stampato, usando algoritmi basati su elementi come la distanza dai bordi della struttura, la direzione di stampa e ovviamente i requisiti di stabilità di tutta la struttura.

Anche la forma generale di Thallus è legata a elementi di design parametrico, il che contribuisce alla sua sensazione di armonia. Una delle condizioni matematiche poste allo sviluppo della struttura è che “rivestisse” una (immaginaria) superficie rigata.

Si tratta di un tipo di superficie geometrica generata dal movimento di una retta nello spazio intorno a un asse e che trova numerose applicazioni in architettura.

Thallus testimonia ulteriormente la passione di Zaha Hadid Architects (ZHA) per le tecnologie innovative e il 3D printing passione sottolineata anche dalla retrospettiva Zaha Hadid alla Biennale di Venezia del 2016  in cui era in evidenza una splendida sedia stampata in 3D realizzata dall’archistar in collaborazione con Patrik Schumacher, direttore del ZHA, e la società di stampa 3D Stratasys.

La sedia, un po’ come Thallus, era stata progettata da Hadid e Schumacher specificamente allo scopo di esplorare le potenzialità delle tecnologie di produzione additiva multicolore e multi-materiale utilizzando una stampante 3D Stratasys Objet1000 multi-materiale su grande formato, ed è stata esposta in  musei e mostre in tutto il mondo.

Ma cos’è il computational design?

Architetti e designer sanno già da tempo che computer e software dedicati sono uno strumento ormai essenziale per la progettazione.

Prima c'era il semplice CAD, poi le applicazioni BIM, ora stiamo parlando di vedere in modalità "immersiva" ciò che si progetta e anche di progettare direttamente in realtà virtuale.

Ma in tutti questi casi la tecnologia è una "periferica" della creatività personale, cosa potrebbe succedere se dessimo ad hardware e software un ruolo più di primo piano?

Se sfruttassimo cioè le capacità di calcolo delle applicazioni e sempre più del cloud in una funzione creativa?

Eccoci al computational design, un approccio in cui la creatività dei progettisti viene affiancata da una visione "informatica" del design come problema matematico da risolvere: date le condizioni di partenza e i limiti progettuali, usare il calcolo per trovare tutte le possibili soluzioni che li soddisfano.

Di norma, gli architetti o i designer userebbero invece la loro esperienza e l'intuizione, ma - sostengono i fautori del computational design - in questo modo si arriva solo a un numero limitato di possibilità.

Il computational design richiede prevedibilmente di usare i software di progettazione in un modo diverso dal solito, definendo parametri e condizioni invece di generare direttamente oggetti e superfici.

Ogni software house ha il suo approccio nell'estendere a questo modello di lavoro le piattaforme tradizionali che già possiede, la soluzione scelta da quasi tutte è mettere a disposizione un ambiente di programmazione visuale: Autodesk ha Dynamo, Vectorworks ha Marionette, e così via.

L'idea non è quella di trasformare i designer in programmatori, ma un ambiente di sviluppo visuale è necessario per definire i vari elementi del progetto, i parametri entro quali i loro attributi possono variare e la correlazione tra questi attributi nell'ambito del singolo oggetto e della relazione con gli altri oggetti. Definito così un modello "relazionale" della nostra (ad esempio) struttura, potremo esplorarne le possibili variazioni grazie al calcolo matematico.

Facciamo un passo avanti e immaginiamo di lasciare al calcolo non solo l'esplorazione delle molte varianti di un progetto che soddisfano le relazioni tra i suoi parametri, ma anche la generazione stessa delle possibili soluzioni. In questo caso non basta il calcolo matematico in senso classico, servono funzioni di intelligenza artificiale (da qui il ruolo del cloud) che partano dalle condizioni base del problema-design, elaborino migliaia di soluzioni e arrivino alla migliore.

Parliamo quindi di algoritmi generativi o in sintesi del generative design, una delle ormai molte applicazioni dei modelli di intelligenza artificiale alla creatività, in questo caso al design. In questo approccio il progettista ha un ruolo anomalo rispetto al solito. In una prima fase dà in pasto agli algoritmi di intelligenza artificiale tutte le condizioni del problema-design da risolvere: dimensioni, costi, materiali, strutture, vincoli, relazioni e via dicendo. L'intelligenza artificiale genera migliaia di soluzioni al problema, analizzando ovviamente la fattibilità di ciascuna ed eliminando le peggiori.

In una seconda fase gli architetti, il progettista o il designer esaminano i progetti migliori generati dagli algoritmi e affina ulteriormente i limiti e le condizioni al contorno, in modo che l'intelligenza artificiale possa tornare al lavoro e generare altre soluzioni più ottimizzate. In un processo di sviluppo "collaborativo" e iterativo di questo tipo si arriva infine alle (si spera poche) soluzioni più convincenti.

L'obiettivo del generative design è duplice, sia razionale sia creativo. È razionale nel senso che intende far risparmiare tempo grazie al fatto che il processo di generazione delle soluzioni da parte dell'intelligenza artificiale è molto più veloce di quello di progettazione umana e comprende già la parte di analisi strutturale.

È creativo perché i progetti di design generativo che sono già stati concretizzati mostrano come gli algoritmi di intelligenza artificiale arrivino a soluzioni che il progettista umano non considererebbe perché troppo lontane dall'esperienza e all'intuizione personale.


Fonti:

Thallus e 3D printed Zaha Hadid Chair

www.designboom.com,

www.zaha-hadid.com,  

www.stampa3dstore.com

Computazional design

tratto da: https://www.01net.it/computational-design-algoritmi-generativi/

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